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I missionari erano razzisti?

Dalla morte violenta di George Floyd, razzismo e colonialismo sono finalmente tornati argomenti di discussione, non solo negli Stati Uniti, ma un po’ ovunque. Specialista in questioni missionarie e relazioni interculturali, Christine Lienemann, professoressa emerita di teologia all’Università di Basilea, spiega i legami tra la missione cristiana e queste realtà oscure in un lungo dialogo ospitato dalla testata svizzera ProtestInfo. Ne riproduciamo dei passaggi qui di seguito:

Nell’immaginario collettivo, il termine “missione” è spesso assimilato a quello di “coercizione”, anche persino di “sottomissione”. La storia della missione è stata davvero così?

Ci sono grandi differenze tra le regioni del mondo. Nell’America centrale e meridionale, i conquistatori spagnoli e portoghesi sterminarono in gran parte le popolazioni indigene, usarono gli schiavi africani per sfruttare le risorse naturali e stabilirono imperi coloniali. Le missioni cattoliche hanno parzialmente beneficiato di questo sistema. Ma i missionari hanno anche reagito a tutto ciò, a partire dal XVI secolo, con critiche veementi. In Africa e persino nell’Asia orientale, la situazione era ancora diversa.

Cioè?

Associazioni missionarie protestanti erano già attive in Africa prima della colonizzazione da parte delle maggiori potenze europee nel XIX secolo. Ma poi si sono lasciate in qualche modo utilizzare, strumentalizzare dalle amministrazioni coloniali per i bisogni e i fini di quest’ultime. La storia è stata ancora diversa in Giappone e Cina. Questi paesi hanno resistito con successo alla penetrazione coloniale dei loro territori per secoli. Lì, i gesuiti e altri ordini cattolici senza potere coloniale hanno lavorato nelle retrovie, fino a quando hanno dovuto cedere al divieto totale di presenza missionaria.

Qual era il rapporto tra la missione della Chiesa e il movimento coloniale? Le forze politiche e religiose hanno lavorato insieme?

Durante il periodo dell’imperialismo, le opere missionarie erano integrate in progetti coloniali, da cui entrambe le parti trassero profitto. Ad esempio, i posti di missione hanno beneficiato dello sviluppo delle infrastrutture e della protezione militare coloniale e dei poteri che i governi coloniali hanno loro attribuito nei settori dell’istruzione, della formazione e dell’assistenza sanitaria. Tuttavia, la cooperazione ha mostrato difetti. I posti di missione hanno anche perturbato gli interessi coloniali, in particolare perché il loro insegnamento si è spesso rivelato terreno fertile per l’emancipazione africana.

Quale ruolo gioca il razzismo nella storia della missione?

Non mancano esempi di comportamenti sprezzanti e razzisti. I teologi sudafricani riformati, per esempio, hanno tratto dalla Bibbia un mandato per il dominio europeo sulla popolazione nera. Le conseguenze di questa situazione sono in parte riconoscibili fino ad oggi.

Può fare un esempio?

Nel 2001, ho visitato la stazione missionaria di Hermannsburg a Kwazulu-Natal (provincia del Sudafrica), fondata nel 1854 da missionari e coloni luterani. La scuola “nera” era ancora amaramente povera e irrimediabilmente sovraffollata, mentre la scuola vicina, che era per lo più “bianca”, era ben equipaggiata. Sul muro della sala da pranzo c’era un detto: “Coltiva la lingua tedesca, preserva la parola tedesca, perché lo spirito dei Padri vive in loro”. Su questa base, era impensabile avere una comunità comune di africani ed europei.

Anche il rapimento dell’identità è spesso criticato, vale a dire che la missione ha preso l’identità dei nativi e ne ha imposta una nuova. È vero?

Nel corso della sua storia, il movimento missionario ha contribuito almeno tanto alla conservazione delle lingue e delle culture indigene quanto ha innescato processi di alienazione. Ciò è confermato anche oggi dagli esperti linguistici dei vecchi territori di missione. Traducendo la Bibbia in lingue indigene, queste furono messe per iscritto, il che assicurò la loro sopravvivenza. Il lavoro di traduzione ha anche dimostrato di essere una porta d’accesso per i membri della congregazione, poiché ha permesso loro di sviluppare le proprie identità africane, asiatiche o latinoamericane all’interno del cristianesimo mondiale.

Ma c’erano anche processi di alienazione?

Certamente. I convertiti dovevano seguire una routine quotidiana di lavoro e disciplina, che era strettamente regolata. I missionari hanno chiesto loro, meglio dire imposto, di separarsi dagli aspetti centrali della loro cultura e religione. Ma soprattutto, il lavoro missionario ha rotto la solidarietà tra le popolazioni locali.

Perché gli europei hanno lanciato la missione? Ci sono fonti bibliche per il pensiero e l’azione missionaria?

Al momento della stesura della Bibbia, le comunità cristiane erano intrise del desiderio di trasmettere agli altri il messaggio che avevano vissuto come liberazione. Questo è il motivo per cui ci sono state comunità cristiane in Asia, Europa e Africa dal primo secolo. I vangeli e le lettere di Paolo danno indicazioni per la trasmissione della fede: nei cosiddetti discorsi apostolici, Gesù avverte i discepoli di non portare nulla con sé sulla loro strada. Non leggiamo nulla nel testo biblico che possa incitare alla corruzione o alla coercizione.

Dal punto di vista attuale, possiamo dire se la missione era “buona” o “cattiva”?

Trovo che la differenziazione sia molto importante. In Europa, è ormai comune considerare che la missione nel suo insieme è sbagliata. Ciò è dovuto principalmente alla secolarizzazione, che ha un impatto anche sulle chiese tradizionali. Per me la missione è piena di sorprese. Può causare orrore per ciò che è stato fatto in suo nome. Ma ho anche rispetto per il lavoro permanente di alcuni uomini e donne in missione. È affascinante vedere come i primi missionari siano riusciti, nel tempo, a trasformare il cristianesimo in una religione africana, asiatica o latino-americana. Allo stesso tempo, hanno riscoperto la loro identità precedentemente repressa in un modo nuovo. Le teologie risultanti sono sia una sfida che un arricchimento per il cristianesimo europeo.

Le grandi Chiese sono ancora missionarie oggi?

Oggi ci sono più missioni e più conversioni che mai nei duemila anni di storia del cristianesimo – oggi sono principalmente i missionari del Sud che assumono questo compito. Alle nostre latitudini, tuttavia, le Chiese tradizionali si sono in gran parte ritirate da questo campo di attività. I cristiani di altri paesi, dove non si applica la libertà di religione, lo trovano strano. Ma soprattutto, sono irritati dalla mancanza di missione delle chiese da cui è iniziato lo slancio missionario.