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Fototessere 2: scoprirsi accompagnata da Dio

Prosegue la serie di incontri dialogati che Paolo Ricca realizza per Riforma e che ha preso il via due settimane fa con Maria Paola Rimoldi. Verranno coinvolti, di volta in volta, uomini e donne che hanno dei ruoli conosciuti all’interno delle chiese evangeliche in Italia o nell’ambito ecumenico, ma anche persone che, pur non avendo incarichi conosciuti ai più, portano con sé un’esperienza di fede significativa per tutti e tutte noi.

Buona lettura!

Annapaola Carbonatto ha 26 anni. Pur non potendo essere annoverata fra i millennial, come sono chiamati i nati dal 2000 in su, ha però trascorso più anni nel XXI che nel XX secolo. È nata e vive a Torino, ma ha radici nelle valli valdesi (Torre Pellice), dove ha iniziato la sua formazione religiosa, culminata nel battesimo avvenuto a Torino all’età di 17 anni. Si sta per laureare in Comunicazione interculturale con una tesi di Antropologia dei media. Dal 2018 è Segretaria generale della Federazione giovanile evangelica in Italia (Fgei), che riunisce i giovani delle chiese valdesi, battiste e metodiste.

– Il suo nome, Annapaola, è doppio. Come mai?

«La motivazione principale è che i miei genitori volevano darmi un nome lungo visto che ho un cognome lungo. Hanno scelto un nome composto che gli piacesse e per un caso i due nomi che compongono il mio sono uno il nome della mia nonna materna e uno il nome di una mia bisnonna paterna».

– Dunque il suo nome la collega con due, anzi tre generazioni precedenti la sua. Che rapporto ha con questo passato relativamente remoto, quello appunto di una nonna e di una bisnonna?

«Purtroppo ho avuto modo di conoscere solo una delle mie bisnonne e uno dei miei bisnonni, ed ero troppo piccola e non ne conservo un ricordo definito. Mentre con la mia nonna materna ho un legame molto più stretto. Fin da piccola mi è sempre piaciuto ascoltare i racconti di famiglia e informarmi sulle storie relative a parenti più o meno vicini».

– Lei è Segretaria della Federazione giovanile evangelica Italiana (Fgei):un incarico senza dubbio impegnativo. Che cos’è la vostra Federazione, e che cosa vuol essere?

«La Fgei è uno spazio di incontro e di impegno per i e le giovani delle chiese battiste, metodiste e valdesi italiane, ma accoglie anche giovani con percorsi di fede diversi. La Federazione giovanile ha il suo punto di forza in alcune pratiche consolidate e affinate nel tempo, come a esempio la formazione alla pari e l’organizzazione collegiale. I temi di discussione invece cambiano a seconda del periodo storico, a seconda delle esigenze e delle sensibilità di chi ne fa parte, ovviamente il filo conduttore rimane quello dell’ascolto, dell’accoglienza e del rispetto reciproco».

– La parola “Federazione” Le sembra adeguata? La Fgei non è qualcosa di più o di diverso da una Federazione ?

«La Federazione giovanile è sicuramente qualcosa di diverso da quello che viene comunemente inteso come “federazione”, questa parola conserva la memoria storica della Fgei, che è nata dall’unione di tre organizzazioni giovanili denominazionali. Anche se la Gioventù evangelica metodista (Gem), la Federazione delle unioni valdesi (Fuv) e il Movimento giovanile battista (Mgb) si sono sciolte per confluire nella Fgei, credo che sia importante continuare a chiamarci Federazione per tenere a mente che coloro che sono venuti e venute prima di noi hanno scelto di impegnarsi in un cammino comune, mettendo in discussione le differenze e facendo tesoro degli elementi comuni».

– Il Sessantotto rappresenta qualcosa per la vostra generazione, nata circa trent’anni dopo?

«Non credo di poter parlare a nome di tutta la mia generazione perché credo che altre persone mie coetanee potrebbero avere una visione diversa dalla mia. Per me il Sessantotto è qualcosa di cui ho ascoltato i racconti di chi lo ha vissuto, ma è allo stesso tempo un movimento che percepisco come lontano nel tempo, anche se sono consapevole dei cambiamenti che sono avvenuti proprio grazie a esso».

– Che cos’è per lei la fede?

«Per rispondere mi affido al versetto di Ebrei 11 che dice «la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono»: credo che esprima bene qualcosa che poche parole non potrebbero riassumere e che racchiude al suo interno aspetti profondi e importanti: la speranza, l’affidarsi, la presenza e l’assenza solo per citarne alcuni».

 Come credente, si sente un po’ sola, o isolata, tra i giovani della sua età, oppure no?

«Sì, crescendo sono sempre stata l’unica valdese nella scuola che frequentavo e più passavano gli anni e più i miei coetanei provenienti generalmente da famiglie cattoliche si allontanavano dalla fede dei genitori. È sicuramente una rarità incontrare coetanei e coetanee credenti, quando succede di solito sono delle belle occasioni di confronto e dialogo nel rispetto delle diverse credenze, ma generalmente mi confronto con persone non credenti e che nella migliore delle ipotesi hanno qualche reminiscenza di catechismo cattolico. Alcune volte è faticoso dover spiegare la propria fede, soprattutto se ci si confronta con persone particolarmente scettiche e poco propense all’ascolto».

– Le sembra di “appartenere” a qualcuno o qualcosa di più grande di lei, oppure appartiene solo a se stessa?

«Non appartengo a nessuno, ma sento di far parte di un progetto più grande che va al di là di me e delle altre singole persone. So che anche quando ho dei dubbi o sono confusa, Dio sa qual è il mio cammino e mi accompagna lungo di esso mano a mano che prendo le mie decisioni».

– Se lei dovesse spiegare Dio a un amico o amica della sua età, da dove partirebbe? Dal miracolo e mistero della vita? Dalla storia di Israele? Dalla figura di Gesù? O da un altro punto di partenza?

«Non penso di aver mai dovuto spiegare Dio a un mio coetaneo o a una mia coetanea. Posso rifarmi alla mia esperienza di monitrice di Scuola domenicale e quello che posso dire è che dipende moltissimo dal mio interlocutore o interlocutrice. A seconda della persona che avrò davanti dovrò scegliere una strada diversa, anche in base alla sua sensibilità e al suo vissuto».

– Conosco una donna di mezza età che recentemente mi ha detto: “Avrei preferito nascere uomo. Gli uomini hanno la vita più facile”. Lei è d’accordo?

«Nascere uomo nella nostra società comporta sicuramente un privilegio rispetto al nascere donna. Nonostante siano stati fatti tanti passi avanti, il raggiungimento della parità dei sessi è ancora ben lontano. Gli stereotipi di genere penalizzano tanto gli uomini quanto le donne, credo che sia importante che tutti e tutte ci impegniamo per scardinare questi meccanismi, ciascuno e ciascuna sfruttando i privilegi che ha».

– Lei si sente più europea che italiana, o più italiana che europea, oppure più “cittadina del mondo”?

«Sono europea e sono italiana, non credo che una definizione venga prima dell’altra, i due aggettivi per me sono strettamente connessi, perché strettamente connesse sono l’Italia e l’Unione Europea, per quanto ad alcuni piaccia pensare diversamente. La nostra identità è l’insieme delle esperienze che facciamo nel corso della nostra vita, delle persone che incontriamo e delle cose che impariamo. Essere nata in un certo posto o avere una determinata nazionalità non condiziona in modo categorico la nostra identità».