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Il debito del premier Conte

C’è un debito che, a oggi, il governo Conte non è riuscito a saldare. È quello contratto con il presidente della Repubblica che il 5 ottobre del 2018, controfirmando i “decreti sicurezza” dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, sottolineò che il provvedimento andava temperato con «gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato (…) e, in particolare, quanto direttamente disposto dall’art. 10 della Costituzione e quanto discende dagli impegni internazionali assunti dall’Italia». Con parole forti e chiare, il Quirinale richiamava il Governo a un maggiore rispetto dell’ articolo per cui «lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Non solo. Il Colle richiamava anche gli “impegni internazionali”, a iniziare dalla Convenzione di Ginevra sui Diritti umani che all’articolo 33 stabilisce una clausola che, da sola, dovrebbe bastare a liquidare i decreti Salvini. È la cosiddetta norma “anti-respingimento” per cui «nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

Eravamo nel governo Conte 1, con Salvini al picco della sua popolarità. Poco meno di un anno dopo quel Governo cadde, nacque il Conte 2 a maggioranza giallo-rossa e la cancellazione o la sostanziale modifica dei «Decreti sicurezza» sembrava un obiettivo scontato e prioritario. In realtà è passato un anno e i Decreti sono ancora lì. Il premier Conte annuncia che la revisione è prossima e sarà pubblicata il 9 luglio. Vedremo se accadrà davvero e in che cosa consisterà. È ben nota, infatti, l’opposizione del ministro Di Maio che teme che la drastica revisione dei Decreti per i quali si era speso con generosità, possa produrre un ulteriore scossone alla sua autorevolezza. Non solo: toccare il totem dei provvedimenti salviniani significherebbe mettere una pietra tombale su una nuova alleanza con la Lega, oggi impensabile ma domani non si sa mai. In questo Di Maio conferma un’intenzione più tattica che strategica. Egli sa bene che per contenere il crollo elettorale pronosticato dai sondaggi, il M5S non deve cementare nessuna alleanza strategica, tanto meno con il Pd. La tecnica è quella vetusta ma sempre efficace dei “due forni”, per cui oggi si governa con Zingaretti ma non si esclude che domani, magari dopo una nuova consultazione sulla “piattaforma Rousseau”, si possa ricostruire l’alleanza con Salvini. 

Conte sa bene che una revisione minimalistica dei Decreti Sicurezza lo metterebbe in difficoltà rispetto ai suoi sostenitori e di fronte al Quirinale. Ma prendere tempo non è la strategia più efficace. Il dossier delle politiche migratorie non ammette dilazioni: benché non faccia notizia, ogni settimana l’Osservatorio di Lampedusa di Mediterranean Hope [il progetto della Federazione delle chiese evangeliche in Italia sulle migrazioni, ndr] segnala lo sbarco di almeno un’imbarcazione carica di richiedenti asilo; riprendono i salvataggi in mare e, di nuovo, bisogna attendere giorni perché alle Ong venga assegnato un “porto sicuro”; lo smantellamento dei sistemi di accoglienza e di protezione voluto da Salvini comincia a produrre i suoi effetti perversi rigettando nell’irregolarità tanti migranti che avevano iniziato un percorso di integrazione. Intanto, la speranza di tanti giovani “figli dell’immigrazione” di essere riconosciuti per quello che già sono, e cioè italiani a tutti gli effetti, sembra ormai definitivamente tradita. 

Mentre attendiamo che il 9 luglio Conte saldi il suo debito, l’unica, importante eccezione a questo quadro di pericolosa staticità dell’azione di governo sulle migrazioni è stata la legge fortemente voluta dalla ministra Teresa Bellanova che potrà consentire una limitata quota di regolarizzazioni. È l’unica strada percorribile: favorire la regolarizzazione di chi rischia di precipitare nell’economia del sommerso; aprire vie regolari, sicure e sostenibili a tutela del diritto d’asilo, nella linea dei “corridoi umanitari” che la Federazione delle chiese evangeliche e la Comunità di Sant’Egidio sperano possano riprendere tra settembre e ottobre; la determinazione di quote di lavoratori stranieri destinate a settori produttivi alla ricerca di personale; norme flessibili ma rispettose dei contratti e dei diritti dei lavoratori, per i migranti stagionali impegnati in agricoltura. Una politica delle migrazioni realistica e sostenibile parte necessariamente da qui.