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Qualche punto chiaro per ripartire con la scuola a settembre

Non mi ricordo un solo anno nel quale la scuola italiana sia iniziata  regolarmente  a settembre con le classi e le sezioni formate secondo le norme vigenti, i docenti presenti dal primo giorno, i supplenti in servizio dove manca il titolare, il sostegno, con relativa riduzione del  numero degli alunni (20) per le classi dove sia presente un alunno portatore di handicap, i libri gratuiti per chi ne ha  diritto, no ai doppi turni ma neanche “classi pollaio” di 27-30  alunni, con inevitabili lezioni frontali, cioè con l’insegnante che parla a tutta la classe, un tempo aiutandosi con la lavagna, oggi con qualche supporto informatico (in realtà con 25 o 30 alunni in classe, se non sei un insegnante bravissimo in classe e capace di seguire i lavoro dei diversi gruppi , non combini un granché). Nessuna riforma organica, tentata periodicamente da ministri di tutti i colori è riuscita a realizzarsi, trovando principalmente negli insegnanti, categoria di cui ho fatto parte per vari decenni, opposizioni anch’esse di tutti i gusti e colori, corporazioni, sindacati autonomi, familismi…. Eppure sono veramente tanti gli insegnanti che alla nostra scuola, comunque organizzata hanno, dato l’anima, vivendo il loro impegno come una vera vocazione.

Ma adesso ci si è messo di mezzo anche il coronavirus e l’agitazione per settembre sta montando. Perché, da un lato, non bisogna abbassare la guardia, ma dall’altro non ci si può neanche inventare una scuola o una nuova didattica fra scuola e casa senza alcuna preparazione e con i tempi da rispettare.

Che cosa succederà? La confusione è tanta, decide il ministro o decidono i presidi? Il governo o le regioni? E se non sono d’accordo? E poi ancora bisogna che sia rispettata la “rima buccale”, la distanza tra bocca e bocca, e poi ancora il plexiglas e i box? E se ti pigli il raffreddore? E si finirà con le solite emergenze e magari l’utilizzo di palestre e simili già giudicate a rischio e bisognose di manutenzione da effettuarsi prima che caschino i soliti pezzi di soffitto…

Guardando le simulazioni degli spazi e della possibile disposizione dei banchi, mi sono accorto che di alunni, in una aula, non ce ne stanno più di 18. E mi sono detto: vai a vedere che uno degli obiettivi più importanti sostenuti nelle battaglie sindacali sulla scuola, nei contratti, e al tempo stesso mai veramente raggiunto, quello dei 25 alunni perclasse, lo conquisteremo per obbligo con le linee guida del coronavirus

Vi è un altro aspetto della indubbia trasformazione che la scuola sta vivendo con il crescente utilizzo delle connessioni virtuali, del resto sempre più diffuse, dei social… in futuro si lavorerà molto da casa e anche molto da soli come già avviene in molti settori, dal commercio, al turismo all’amministrazione, apparentemente tutto più veloce, facile, vantaggioso. Ma nella scuola questa trasformazione andrà attentamente governata perché in un ambito formativo come è quello scolastico non si dovrà assolutamente far venir meno la dimensione dell’incontro, fisico, del gruppo, della ricerca in comune che valorizzi e discuta sulle diversità, non ciascuno a casa dietro il suo tablet.  A parte l’informatica qui si gioca l’educazione civica, l’assunzione di responsabilità, la formazione delle classi dirigenti. Questione essenziale per il futuro del paese.

E infine, a proposito del rapporto tra formazione e lavoro, vale la pena ricordare un tentativo che si realizzò per iniziativa del sindacato dei metalmeccanici (Flm) nel corso degli anni ’70. Nel contratto collettivo del 1972 veniva riconosciuto agli operai l’utilizzo di un monte-ore annue non per la formazione professionale, che già c’era, ma per il miglioramento e l’autonomia culturale attraverso il recupero scolastico della licenza media. Pochi avevano questa licenza e di conseguenza erano penalizzati in partenza dal punto di vista della qualificazione e degli scatti salariali: Non c’era internet e neanche la lezione frontale, c’era (all’inizio) soprattutto una grande passione, non c’erano libri di testo, ma tutto era battuto a macchina e poi ciclostilato (!).

Le 150 ore non hanno provocato una egemonia della classe operaia nella scuola, come qualcuno sperava o temeva, ma chi ha vissuto questa esperienza in prima persona ha imparato dalla realtà e non dalle idee quante cose si potrebbero fare anche con i ragazzi della scuola “del mattino” che possano contribuire a comprendere il nostro mondo e a migliorarlo.

Cosa c’entra tutto questo con la scadenza di settembre e l’incertetezza sugli effetti del coronavirus? In realtà poco. Salvo il fatto di stimolare tutti quelli che si occupano o si occuperanno di scuola perché al centro rimangano i contenuti, l’autonomia, la produzione di pensiero, le relazioni umane e non soltanto le connessioni in un mondo virtuale tecnologicamente all’avanguardia.