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Filippine: è allarme per una nuova legge “anti-terrorismo”

I metodisti filippini, appartenenti alla United Methodist Church, hanno intensificato, nonostante la pandemia da Covid-19, le protestate contro le violazioni dei diritti umani nel Paese, denunciando anche l’approvazione di una nuova legge “anti-terrorismo” che, accusa il vescovo dellarea di Manila, Ciriaco Francisco (riporta United Methodist News), «sopprimerà i nostri diritti di protestare e parlare contro i mali della società».

La legge, fortemente sostenuta dalla Camera dei Rappresentanti e già approvata dal Congresso, è in attesa della firma del presidente Rodrigo Duterte (il primo a “spingere” il documento, considerandolo urgente), e ha già scatenato le proteste sia all’interno del Parlamento sia nelle strade, innanzitutto per l’estensione del concetto di “terrorismo” (punibile con 12 anni di prigione) e l’aumento dei poteri di sorveglianza, arresto e detenzione della polizia.

Attivisti per i diritti denunciano i rischi per la libertà di parola e in particolare le potenziali conseguenze sugli oppositori politici di Duterte, che può contare su una maggioranza politica ma ha anche influenza sulle istituzioni giudiziarie e governative. Il timore dei difensori dei diritti umani è che persone innocenti possano essere sottoposte a sorveglianza e intercettazioni telefoniche, e arrestati come “sospetti terroristi” e trattenuti, come prevede la nuova legge, senza un mandato e senza garanzie, per 14 giorni.

Dall’altro lato, ha dichiarato il portavoce del Presidente, Harry Roque (agenzia Reuters), la proposta di legge riprende diversi elementi dalle norme di paesi che hanno affrontato efficacemente la minaccia del terrorismo, e rammentando i cinque mesi di assedio della città di Marawi da parte di affiliati dell’Isis nel 2017 (ne avevamo parlato qui) ha commentato: «Non dimentichiamoci che i resti di Marawi sono ancora là». 

Seppur con le limitazioni e le distanze di sicurezza imposte dall’emergenza Covid, i dimostranti sono scesi in piazza fin dall’inizio di giugno, per denunciare l’uso della forza per zittire il dissenso, legato, nelle Filippine, anche alle proteste contro la cattiva gestione dell’emergenza sanitaria.

Studenti universitari, organizzazioni per i diritti umani e chiese si sono unite nella protesta, anche rilasciando dichiarazioni. Il vescovo metodista Ciriaco Francisco sostiene per esempio che con questa legge il governo sopprime «il nostro ministero di compassione, giustizia e pace», mentre dovrebbe concentrarsi su povertà, sicurezza alimentare, servizi sanitari e lavoro.

Diversi organismi di chiese hanno diffuso dichiarazioni per opporsi alla legge, ribadendo (come 

il Philippines Central Conference Board of Church and Society) che questo non vuol dire essere lassisti verso gli atti di terrorismo, ma piuttosto non conformarsi a «qualunque azione o legislazione calpesti le libertà civili e individuali garantite e protette dalla costituzione e riconosciute dai nostri principi sociali come parte essenziale della nostra umanità ed esistenza». O, come il gruppo ecumenico “One Faith. One Nation. One Voice,” di cui fa parte anche la Chiesa metodista unita, accusando in un comunicato stampa la nuova legge di «restringere ulteriormente lo spazio democratico e indebolire il discorso pubblico, a danno del nostro paese».

 

 

Foto: via Istock; manifestazione  a Manila nel 2013 per la libertà di espressione e di parola