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Culti a distanza e creatività spontanea

Per come ha potuto osservarla chi scrive, la “pastorale della quarantena” nelle nostre chiese è stata il trionfo dell’”iniziativa privata”. Gli esecutivi hanno scelto, a mio parere con saggezza, di non impostare una politica centralizzata e così le singole comunità, con i loro pastori e pastore, si sono inventate la propria tattica e, in qualche caso, la propria strategia: streaming e dirette Facebook, clip anche quotidiane su YouTube, fino all’uso assai ampio di piattaforme tipo Zoom; oltre, naturalmente, alla cura d’anime al telefono. Per quanto riguarda le piattaforme, la strada è stata aperta dall’iniziativa che poi è stata chiamata Zoomworship. L’impianto (assai artigianale, ma a quanto pare efficace) di questa iniziativa ha ospitato anche organismi nazionali, come l’Opcemi (Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia), o locali, come il Circuito metodista e valdese del Lazio, per iniziative proprie. Ben al di là di Zoomworship, tuttavia, molte comunità locali hanno utilizzato le potenzialità interattive della piattaforma, effettivamente più dinamiche rispetto, a esempio, allo streaming. Tutto ciò, naturalmente, è stato reso possibile anche dai bassi costi di gestione di questi strumenti.

A posteriori, la decisione di lasciare spazio alle iniziative di base si è dunque rivelata felicissima. In caso contrario, avremmo corso il rischio di insabbiarci con qualche commissione, la quale poi avrebbe dovuto discutere per settimane sulla filosofia della liturgia elettronica (è virtuale o reale?), oppure su alternative come quelle tra pixel e persone, followere discepoli ecc., che certo hanno una loro efficacia critico-polemica, ma non aiutano molto in sede costruttiva, specie se occorre essere rapidi. Alcuni si sono sentiti in dovere di ricordare che la telematica non è onnipotente, che anzi ha anche i suoi pericoli e i bassi costi sono l’altra faccia del business dei dati. Resta il fatto che, nella circostanza, lo strumento elettronico, dalla piattaforma al cellulare, si è collocato più dalla parte della soluzione che da quella del problema.

Un piccolo dispiacere riguarda invece la ricaduta dell’esperimento all’esterno delle nostre chiese: c’è stata ed è stata superiore a quanto abbiamo tentato in altre circostanze (non ci voleva molto, del resto), ma sinceramente avevo sperato e mi sarei aspettato di più. In ogni caso, una piccola storia, certamente, che però ha costituito, sembrerebbe, un modesto successo, con costi ridottissimi e molto lavoro volontario e autoorganizzato. Non si può dire che sia accaduto sempre, nella storia della comunicazione ecclesiastica nostrana.

Dopo l’emergenza, tuttavia, si pongono alcune domande. Nella predicazione e nella liturgia (si intende: non soltanto, ma in modo assolutamente qualificante) la chiesa manifesta la propria ragion d’essere. È veramente possibile, su questo punto, continuare a procedere in ordine sparso? Francamente mi sembra difficile e alla lunga anche un po’ rischioso: la pervasività del mezzo moltiplica l’udienza, ma ancor di più i danni provocati da eventuali comportamenti avventati; soprattutto, però, liturgia e predicazione, per la chiesa riformata, chiamano in causa una responsabilità sinodale, dove l’aggettivo vuole avere un significato spirituale, prima che istituzionale. Il centralismo soffoca, ma nemmeno l’anarchia fa bene alla salute. Convochiamo allora gli stati generali della comunicazione liturgica telematica, con il rischio di costituire gruppi di lavoro che alla fine produrranno un documento che nessuno leggerà?

Potrebbe anche insorgere (complice la “pausa estiva”) la tentazione di dimenticare i tre mesi trascorsi e ritornare puramente e semplicemente, come se nulla fosse accaduto (in una circostanza importante l’espressione è stata utilizzata persino da Karl Barth!), alla comunicazione tradizionale soltanto. La storia, grande e piccola, è del resto piena di normalizzazioni seguite a brevi fasi di creatività. Volendo, però, la si può mettere anche in un altro modo: ci è richiesto uno sforzo di fantasia, per valorizzare quanto di buono è stato costruito.