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La comunicazione «è vitale per le chiese»

In tempo di pandemia da Covid-19, che ha causato la morte di tante persone e grandi difficoltà in tutto il mondo, il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) ha promosso numerose iniziative sui suoi canali digitali di comunicazione.

«Le iniziative più apprezzate sono state quelle offerte sui canali social Facebook e Twitter: le preghiere; le iniziative per i Giovedì in nero; i webinar ecumenici per affrontare le questioni mediche e spirituali; o quelli dedicati alle popolazioni più colpite. Molta attenzione è stata riservata anche alle zone del mondo (tutt’ora) duramente colpite dalla pandemia», ha ricordato Marianne Ejdersten, direttrice della comunicazione del Cec. 

La Campagna del Giovedì in nero, per un mondo libero da stupri e violenze, «ha contribuito a far accrescere la consapevolezza sul rischio di violenze sessuali di genere in linea generale, ma soprattutto durante il lockdownd che ha costretto molte donne a stare in casa con persone violente».

Con The Ecumenical Review (la rivista trimestrale del Cec), ha ricordato la responsabile della Comunicazione dell’Organismo ecumenico «abbiamo affrontato diversi temi quali le prospettive teologiche ed etiche nell’era digitale; le implicazioni per la chiesa come comunità in tempo di pandemia – tema significativo –, dal momento che molte congregazioni non potevano incontrarsi fisicamente».

Uno numero speciale (virtuale) congiunto di The Ecumenical Review con l’International Review of Mission «ha offerto diversi articoli incentrati su due parole chiave: salute e speranza. Proprio in un memento difficile e in cui le persone cercavano conforto», ha proseguito Ejdersten.

La comunicazione è un concetto poliedrico, afferma, «per il Cec la comunicazione è parte integrante, direi vitale, della propria missione. La comunicazione è per noi un metodo non violento per promuovere la fiducia, la reciprocità tra gruppi diversi. Oggi, ad esempio, il nostro impegno è volto a promuovere la Campagna di preghiera globale per sostenere la penisola coreana».

Ejdersten, ha poi snocciolato una serie di dati significativi.

«Il Cec ha pubblicato una media di 78 post su Facebook al mese nel 2020, raggiungendo circa 200.000 persone ogni mese rispetto ai 165.000 del 2019 con un aumento di circa il 20%. 

La pagina Facebook ha ricevuto un badge blu, attestato visivo che indica l’autenticità della pagina.

Su Twitter il Cec ha registrato una media di 12.500 visitatori al giorno, rispetto ai 10.400 al giorno nello stesso periodo del 2019 guadagnando circa 900 follower (persone che hanno deciso di seguire la pagina) da marzo e che oggi sono arrivate a 28.700. 

Anche i follower su Instagram sono cresciuti del 12% dall’inizio dell’anno, raggiungendo il numero di 3.500.

Abbiamo registrato – prosegue – più di 25.000 download di articoli su temi ecumenici nel 2020 fino alla fine di aprile, con un aumento di quasi l’8% rispetto allo stesso periodo del 2019.

Anche il sito web – ricorda la direttrice – ha registrato un aumento significativo della sua presenza complessiva nei primi sei mesi del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019: 43% in più di utenti e 38% in più di visite. Le visite settimanali medie nel periodo gennaio-giugno 2020 sono state 25.000 (rispetto ai 18.000 nel 2019) e le visite mensili medie 110.000 (80.000 nel 2019).

Le visite totali dal 1° gennaio al 17 giugno sono state 617.000; dunque è molto probabile che raggiungeremo il nostro obiettivo di un milione di visitatori entro la fine dell’anno», ha chiosato Ejdersten.

Anche il canale YouTube ha conquistato uno spazio rilevante «ospitando diversi messaggi video inviati da leader religiosi e i webcast e webinar continuano a dimostrare quanto il Cec riesca a promuova l’amore, l’unità e la riconciliazione».

Infine, «durante la pandemia la presenza online del Cec è stata una risorsa utile per pregare, per fornire informazioni affidabili e utili, interviste, diffondere nuove pubblicazioni, promuovere riunioni, consultazioni online», ha concluso Ejdersten, che ha guidato il suo team (una rete mondiale) «da remoto», ossia da casa sua in Svizzera. 

«Ora ci stiamo chiedendo come proseguire insieme come comunità di chiese e come adattare l’attività digitale, che si è visto essere proficua, nella vita e nel nostro lavoro quotidiano se e quando torneremo, speriamo presto, alla normalità».