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Il sogno continua

Ieri è arrivata la notizia, attesa quanto insperata, che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha respinto la decisione del presidente Donald Trump di porre fine al programma di protezione per minori giunti clandestinamente negli Usa, il cosiddetto Daca, Deferred Action for Childhood ArrivalsUn’azione considerata «arbitraria e capricciosa»  e quindi inaccettabile per cinque giudici su nove, che hanno basato la loro decisione soprattutto sul fatto che il Governo, e nello specifico il Dipartimento della Sicurezza Interna, non ha saputo giustificare in modo adeguato il motivo per cui intendeva interrompere il Daca.

Ne avevamo parlato il 19 maggio scorso, ricordando le centinaia di migliaia di giovani e ragazzi che si trovavano in un limbo, a rischio irregolarità ed espulsione, dopo il blocco del  provvedimento nel settembre 2017.

Nonostante la Corte abbia una maggioranza conservatrice, e in passato si sia espressa a favore della linea del presidente, questo non ha influito sulla decisione finale, che ha tenuto conto anche delle conseguenze più ampie del provvedimento, che andrebbero a colpire una parte di popolazione che va dagli studenti agli operatori impiegati, in questo periodo di emergenza Coronavirus (come ricordato nel precedente articolo) in servizi essenziali.

Si tratta indubbiamente di una vittoria, per le chiese che più fortemente hanno sostenuto in questi tre anni la battaglia dei “dreamers”, come è chiamata la generazione di giovani che hanno beneficiato del Daca e che “sognano” (mai acronimo fu più azzeccato) l’entrata in vigore del Development, Relief, and Education for Alien Minors Act (abbreviato appunto con Dream Act), provvedimento risalente al 2001, presentato più volte ma mai approvato da entrambe le camere del Congresso, che a differenza del Daca porterebbe i beneficiari (dopo un congruo iter, e solo a determinate condizioni) all’ottenimento della cittadinanza.

Proprio su quest’ultimo punto si muovono ora gli episcopali, spingendo per una «protezione permanente» per i circa 700.000 giovani e ragazzi interessati dal Daca, che li metta al riparo dalla deportazione e, infine, conceda loro la cittadinanza americana come “sognato” dal Dream Act.

La Chiesa episcopale da tempo si batte a fianco dei Dreamers, e attraverso le parole del suo vescovo primate, Michael Curry (riportate qui dall’Episcopal News Service) osserva che nonostante la decisione positiva della Corte, che si è pronunciata sulla non legittimità dell’azione di Trump, non sulla legittimità o meno del Daca, «il programma Daca resta in pericolo» e per questo «la Chiesa episcopale chiede al Congresso di approvare il Dream Act per dare una certezza permanente alle persone senza documenti, portate negli Stati Uniti in gioventù».

Questo è infatti uno dei punti forti per i sostenitori dei Dreamers, che spesso sono parte integrante e attiva delle comunità, religiose e sociali, statunitensi, e «non hanno memoria della vita nei loro paesi nativi». I destinatari del Daca, sottolinea Curry, «sono una parte vitale della nostra vita comune, sia nella chiesa sia nella società, sono parte della famiglia di Dio e dobbiamo dare loro la tranquillità di sapere che appartengono anche alla famiglia americana». Il prossimo passo è quindi sostenere i senatori per l’approvazione del Dream Act, già passato alla Camera dei Rappresentanti.

Anche la United Church of Christ, sostenitrice delle battaglie dei Dreamers e tra le prime a diffondere la sua reazione alla decisione della Corte, ha parlato di «una grande vittoria per i giovani privi di documenti in tutto il Paese» e ha ribadito l’importanza di approvare «una legge che apra un percorso verso la cittadinanza per i giovani immigrati e titolari di status di protezione temporanea». Anche il presidente della denominazione, pastore John C. Dorhauer, ricordando la sua esperienza di otto anni nella Conferenza sud-occidentale, ha sottolineato «il dono e la benedizione della nostra comunità immigrata e l’indispensabilità del loro contributo alla nostra cultura ed economia». Il sogno, ma anche la battaglia, continua.

 

Foto: via Istock, Manifestazione del 1° maggio 2010 a Dallas, Texas.