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«Ti scippo la testa, sarò il tuo peggiore incubo»

«Sono passati anni da quelle minacce. E a quelle, purtroppo, negli anni se ne sono aggiunte tante altre. Ho continuato a fare il mio dovere: scrivere articoli. Con nomi e cognomi. L’ho fatto da giornalista e da uomo libero. L’ho fatto con la paura che inevitabilmente mi accompagna ogni giorno. L’ho fatto denunciando alle Autorità competenti qualsiasi minaccia», così ha scritto ieri il giornalista Paolo Borrometi, vice direttore dell’Agenzia di stampa Agi, presidente dell’Associazione Articolo 21 e direttore de “La spia”.

Giambattista Ventura detto “Titta” è stato infatti condannato anche in secondo grado per le gravissime minacce di morte rivolte al giornalista. 

«I giudici della Corte d’Appello di Catania ieri mattina hanno riformato “in peius” per l’imputato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ragusa – ricorda il sito newssicilia.it –, che nell’aprile del 2017 aveva condannato per i reati di minacce di morte e tentata violenza privata con l’aggravante della recidiva, ma senza l’accusa del metodo mafioso, l’esponente del clan della “Stidda” Carbonaro-Dominante».

Dunque sono state riconosciute le motivazioni di costituzione delle Parti Civili e confermati anche i risarcimenti dei danni non solo nei confronti della vittima, ma anche in favore del Comune di Vittoria, dell’Ordine nazionale e siciliano dei Giornalisti e della Federazione Nazionale della Stampa.

«Quello che viene considerato il boss di Vittoria, Titta Ventura – ricorda ancora Borrometi –, viene condannato (anche) in secondo grado per le minacce, la tentata violenza aggravate dal metodo mafioso. 

A me aveva riservato parole come:

“Ti scippu a testa, d’ora in avanti sarò il tuo peggiore incubo e poi ci incontreremo nell’aldilà. Se vuoi ci incontriamo anche negli uffici della Polizia, ti puoi portare anche l’esercito, tanto la testa te la scippu u stissu”. 

E queste sono solo alcune delle minacce. Altre, che mi sono state riferite dai collaboratori di Giustizia, facevano male solo a sentirle, figuratevi a pensare fossero rivolte a me.

Ma oggi – ha scritto a caldo Borrometi appresa la sentenza di ieri – viene riconosciuto l’impegno giornalistico ed il risarcimento alla Federazione della Stampa, all’Ordine dei Giornalisti ed al Comune di Vittoria. Spero che con i soldi del risarcimento danni si possano sostenere colleghe e colleghi nel loro lavoro quotidiano. 

Non nascondo, non sono abituato a farlo, la stanchezza che ho accumulato in questi anni. Ho in corso (come parte offesa!) ben 32 processi nei confronti di 45 imputati e, ogni volta, testimoniare ripercorrendo tutti i fatti, dettaglio dopo dettaglio, è un’impresa titanica. Quella di oggi è la sesta sentenza di condanna (la terza con l’aggravante mafiosa). 

In questi mesi, alle minacce, si sono aggiunti i tentativi di delegittimare il mio impegno e ciò che ho scritto in questi anni. Ma per questo ci sarà tempo.  

Oggi vorrei ringraziare la mia famiglia, i miei amici e l’avvocato Vincenzo Ragazzi per il suo impegno quotidiano. 

E, se mi permettete, un abbraccio va ad ognuno di Voi: mi avete dato forza e se si è arrivati a queste sentenze è anche merito Vostro!».

Paolo Borrometi è nato a Ragusa il Primo febbraio del 1983 «ma orgogliosamente Modicano», studia al Liceo Classico «Tommaso Campailla» di Modica e poi si laurea in Giurisprudenza. Tre sono le sue grandi passioni: gli affetti, la scrittura e il giornalismo. 

Il 29 marzo del 2009 pubblica il suo primo romanzo: Ti amo 1 in più dell’infinito…. A fine 2012 il secondo libro, Passaggio a Sud Est. Ne seguiranno altri. 

L’ultimo è Un morto ogni tanto: «Ogni tanto un murticeddu, vedi che serve! Per dare una calmata a tutti!», nelle intercettazioni l’ordine è chiaro: Cosa Nostra chiede di uccidere il giornalista che indaga sui suoi affari. Ma questo non ferma Borrometi, che sul suo sito indipendente La Spia.it https://www.laspia.it/ denuncia, da anni, gli intrecci tra mafia e politica e gli affari sporchi che fioriscono all’ombra di quelli legali: dallo sfruttamento e dalla violenza che si nascondono dietro la filiera del pomodorino Pachino Igp, alla compravendita di voti, al traffico di armi e droga, alle guerre tra i clan per il controllo del territorio. 

Le inchieste di Borrometi compongono un quadro chiaro e allarmante, di una mafia sempre sottovalutata: quella della Sicilia sud orientale. Dal primo ottobre 2019 Borrometi è nominato vice direttore dell’Agenzia Giornalistica Italia (Agi). Una attività giornalistica iniziata nel 2010 collaborando con il Giornale di Sicilia, per poi passare all’Agi e a Tv2000. Giornalista pubblicista dal gennaio 2013 e professionista dal gennaio 2017. Dal 21 dicembre del 2017 è il nuovo Presidente dell’Associazione Articolo21 liberi di… Il 10 aprile del 2018 nell’ordinanza del Gip di Catania è reso pubblico il tentativo di attentato di cosa nostra, con particolari agghiaccianti, nei confronti di Paolo Borrometi. L’attentato al giornalista, secondo quanto si legge nell’ordinanza, che ha portato all’arresto di quattro persone, doveva essere realizzato dal clan Cappello di Catania su richiesta del clan Giuliano di Pachino. Da allora, Borrometi vive sotto scorta, con i «suoi angeli» ogni momento della sua vita.