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Senza giustizia che pace potrà esserci?

È giovedì [4 giugno, ndr], sono giorni che manifestazioni spontanee sfilano in questo o quel quartiere di New York, e in decine di altre città americane, per protestare contro la violenza istituzionale che da sempre si abbatte sulla comunità afroamericana e per ricordare tutti i neri uccisi per mano della polizia statunitense.

In bicicletta verso Central Park, ecco quindi che sento le voci, e poi vedo, migliaia di giovani neri, bianchi, latinos, asiatici. Vogliono giustizia e la vogliono ora. E come non condividere questa richiesta? Una intera comunità si sente tenuta a terra con un ginocchio sulla gola e non può respirare, come George Floyd l’uomo ucciso così a Minneapolis, il 25 maggio da un poliziotto. Ma quest’anno non è un anno normale. Le settimane passate le abbiamo spese chiusi in casa, separati dai nostri amici, familiari, colleghi, studenti. Il mondo tutto è alle prese con un’epidemia che solo nell’area metropolitana di New York ha già ucciso più di 40.000 persone. E per contenere il virus, abbiamo fermato, per la prima volta nella storia americana, ampie porzioni dell’economia creando una recessione seconda solo a quella degli anni ‘30. Quaranta milioni di americani hanno perso il lavoro e chiesto il sussidio di disoccupazione. Milioni di famiglie e di piccole imprese questo mese non sanno come pagare l’affitto. 

Vicino a me vedo, anche lui in bicicletta, un uomo in camice da infermiere e gli chiedo: «Ma lei che lavora in ospedale non si preoccupa che queste manifestazioni facciano riprendere l’epidemia?». Ma, calmo mi risponde che è troppo tardi, che questi giovani non li si può più fermare. Che si preoccupa per loro, ma devono poter protestare. E, lo incalzo io, non è tanto per loro che ci si deve preoccupare, sono ventenni e trentenni probabilmente non si ammaleranno, ma è per le loro comunità, i loro anziani, genitori e nonni. Perché la disuguaglianza americana si è manifestata anche così con le comunità nera e latina in cui pochi svolgono lavori che si possono fare “da remoto”, comunità colpite più duramente sia dalla disoccupazione sia da casi gravi di Covid19.

E invece l’infermiere è proprio per i ventenni che si preoccupa, come incapace di comprendere appieno la natura infida di questa pandemia che resta silente finché il contagio si muove tra persone giovani e sane per poi esplodere quando raggiunge i più deboli, i malati e gli anziani. Eppure ogni sera alle sette, i newyorchesi applaudono e fanno il tifo per i medici e gli ospedalieri, ma anche per loro stessi tutti, che con disciplina sono riusciti a frenare il virus. 

L’infermiere però ha ragione. Le manifestazioni non solo non si possono fermare ma, sono convinta, non si devono fermare. Malgrado, il Covid19 che ancora ci minaccia. Malgrado si fosse vicini a riaprire i cantieri e qualche negozio ridando lavoro, già solo in città a più di trecentomila persone. Malgrado anche gli episodi di violento vandalismo e saccheggio che si sono diffusi a macchia d’olio usando le proteste come scusa e copertura. Sotto le nostre finestre abbiamo visto decine di ragazzetti che spaccavano vetrine con mazze da baseball e accette da pompiere per portarsi via un paio di occhiali neri, un cellulare, o un paio di scarpe e le loro azioni così violente e gratuite facevano paura. Ora la città, già piegata economicamente, è anche coperta di legno compensato e molti negozianti ora sono un passo più vicini alla bancarotta.

Ma è da qui che parte una importante considerazione. Perché di sera la polizia non ha fermato vandali e ladri. C’era in massa, camionette su camionette, le luci lampeggianti qualche isolato più a nord. Ma ha lasciato fare. Tuttavia, qualche ora più tardi, a Brooklyn ha accerchiato, picchiato, e arrestato i pacifici manifestanti.

Queste sono forze dell’ordine che hanno perso ogni direzione morale. Invece di proteggere i cittadini proteggono e difendono i loro membri razzisti e violenti. Invece di garantire il diritto costituzionale di libertà di parola arrestano i manifestanti e lasciano andare liberi i ladri. Ha dunque ragione chi chiede cambiamenti radicali. Tutti i paesi del mondo hanno corpi di polizia, ma questi non hanno bisogno di essere pericolosi eserciti interni percepiti dai neri come temibili forze di occupazione. Penso ai miei genitori, cresciuti durante l’occupazione tedesca e alle regole di sicurezza che i miei nonni insegnarono loro perché potessero andare e tornare da scuola e giocare liberi malgrado i soldati stranieri.

Come si può vivere in un paese dove i genitori neri sentono di dover fare lo stesso con i loro figli per assicurarsi che non vengano uccisi dalla polizia?

E mentre scrivo, oggi è domenica 7, migliaia di persone sfilano sotto le mie finestre. Black lives matter! E io mi aggiungo a loro. Certamente la vita di ogni donna o uomo conta. E senza giustizia per ogni creatura del Signore, che pace potrà mai esserci?