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Le Favole di Rodari

Gianni Rodari (1920-80) ha rinnovato profondamente la letteratura per l’infanzia italiana. Le sue favole, con il loro potenziale critico e demistificante, non si perdono in un vago mondo fantastico, ma sono un modo di riscoprire e ripensare in forme nuove la realtà. Nell’epoca del trionfo della creatività, espresse la propria fantasia con degli strumenti narrativi e linguistici controllati con grande maestria. 

La poetica di Rodari è fatta di materia concreta. Invece di maghi, streghe ed elfi i protagonisti delle sue favole sono lavoratori, bambine che cadono dappertutto, coraggiosi perdigiorno, uomini e donne indaffarati che salgono su un filobus senza accorgersi che è il primo giorno di primavera. Al posto di castelli, villaggi e foreste ci sono treni e giostre che volano e semafori blu che s’inventano un linguaggio tutto loro. Gli oggetti magici di Rodari sono delle torte in cielo, nasi che scappano, il telefono di un commesso viaggiatore. La sua poesia è per tutti i giorni e, più dei finali, per lui contano gli inizi nei quali la realtà è messa a soqquadro da un’associazione fantastica. 

Gianni Rodari è il sesto autore italiano più tradotto al mondo, nel 1970 vinse il premio “Hans Christian Andersen”, il premio Nobel per la letteratura per ragazzi, unico scrittore italiano a conseguirlo nella storia della nostra letteratura. Nacque a Omegna (Verbania) il 23 ottobre del 1920. Studiò all’istituto magistrale e nel 1941 divenne maestro. Di quel periodo racconta di essere stato un pessimo maestro, ma certamente non noioso. Nel 1943 fu richiamato dalla Repubblica Sociale di Salò, ma si diede alla clandestinità e divenne partigiano. Nel 1945 divenne funzionario del Partito comunista e in questa veste esordì come giornalista de l’Unità. Nel 1950 si trasferì a Roma. Proprio all’Unitàcominciò a scrivere storie per l’infanzia perché il direttore, avendo deciso di dedicare una pagina domenicale ai bambini, chiese a Rodari, perché era stato maestro. Il successo fu immediato, ma la consacrazione letteraria arrivò negli anni ‘60 quando iniziò a pubblicare per la casa editrice Einaudi. Gianni Rodari morì a Roma il 14 aprile del 1980. 

Quando Rodari cominciò a scrivere, la letteratura per l’infanzia era di serie B: chiusa in un moralismo angusto, patetico e lagrimoso. Si deve a Rodari l’invenzione di una letteratura italiana per l’infanzia di alta caratura, capace di sberleffi, ampio respiro e trasfigurazione fantastica della realtà. Le storie di Rodari sono per lo più brevi, talora brevissime: egli fece tesoro della sua esperienza di giornalista di corsivi. 

Pubblicate nel 1962, le Favole al telefono sono probabilmente il suo capolavoro per sintesi, chiarezza espressiva e presa sulla realtà alla quale guarda sia con un sorriso sia con uno sguardo pensoso, talora amaro. 

Le Favole al telefono nascono in un periodo di vacanza durante il quale Rodari inventa nuovi stratagemmi narrativi, affina il proprio timbro poetico, organizza e riordina il materiale che aveva già scritto. La dichiarata intenzione è quella di concentrare in un piccolo spazio i materiali che elaborava. Il risultato è folgorante: concisione che nulla concede all’imprecisione del linguaggio o della struttura narrativa. Nelle Favole al telefono, Rodari seppe descrivere gli anni ‘70: il boom economico, la televisione, la motorizzazione di massa. 

Il centenario dalla nascita di Rodari è una buona occasione per riprendere in mano le Favole al telefono, un vero e proprio classico. Perché in un certo qual modo, Gianni Rodari è sparito tra le rievocazioni agiografiche, mentre è un autore più complesso di quanto possa apparite a una lettura superficiale. Infatti, è nella trama delle Favole che si annida un procedimento che definisco “metaforico”. E mi spiego. Le Favole iniziano sovente con un’indicazione geografica: A Bologna, Busto Arsizio, Ostia. I nomi dei personaggi sono ordinari (Giovanni, Giacomo, Francesco) e così i loro mestieri. Ma proprio in luoghi ordinari, a persone comuni accadono fatti bizzarri, come alla guardia comunale che si accorge di trovarsi davanti a un palazzo di gelato o ai passanti di piazza Duomo che si domandano perplessi che fare davanti a un semaforo che segna il “blu”. In questo modo, la realtà è sbilanciata verso lo straordinario, ma lo squilibrio serve a dire meglio e di più la realtà, una realtà a tratti amara dalla quale neppure la morte è rimossa. 

Per i lettori e le lettrici della Bibbia, il modo con cui Rodari scrive le favole richiama il modo con cui Gesù racconta le parabole. Anche le parabole di Gesù hanno a che fare con elementi comuni, il sale, il lievito, un seme, il lavoro. Anche nelle parabole di Gesù vi è un elemento straordinario che sbilancia una situazione ordinaria in direzione di ciò che è possibile. A esempio, il granello di senape che cresce e diventa un albero così tanto grande. Le favole di Rodari, come le parabole di Gesù, ci invitano a guardare la realtà, per così dire, dalla parte del possibile. Non si tratta di un gioco d’illusionismo: di far finta che le cose siano diverse da come sono, bensì di rappresentare la realtà in modo più ricco e pertinente. E di sperare in un mondo più abitabile.