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Una teologa alla guida della diocesi di Lione per denunciare l’invisibilità delle donne nella Chiesa cattolica

Non una provocazione, ma qualcosa di ben più forte, un chiaro segnale di una necessità che deve entrare nell’agenda della Chiesa cattolica.

In questo modo si deve leggere la candidatura giunta ieri della teologa e biblista francese Anne Soupa al ruolo di arcivescovo di Lione. Ruolo vacante dopo le dimissioni del cardinale Philippe Barbarin, accusato di aver negli anni coperto gli abusi sessuali nei confronti di un gruppo di scout di un prete della sua diocesi, Bernard Preynat.

Soupa, fondatrice nel 2008 del “Comité de la Jupe” (Comitato della gonna), creato per giungere al giusto riconoscimento del ruolo delle donne in seno alla Chiesa cattolica, la definisce «Una candidatura simbolica certo, ma i simboli a volte possono essere molto forti. La volontà è quella di denunciare due problemi reali: l’invisibilità delle donne che priva la Chiesa cattolica di nuovo spirito e nuovo sangue, ma anche il grande problema della governance, in mano a un clero maschile in calo costante di numeri».

La teologa non lo nasconde, è proprio di fronte a questi problemi di gestione pratica della chiesa che ha scelto di candidarsi per la diocesi di Lione, città che conosce bene per aver seguito lì suoi studi teologici. «È a Lione, e non a Luçon o Romorantin, che il problema della governance e delle sue disfunzioni deve essere sollevato, perché è lì che è più visibile», ha raccontato alla versione transalpina del giornale Huff Post.

In realtà la nomina di un arcivescovo non implica una candidatura: è il papa a scegliere tra i nomi proposti dal nunzio apostolico, in questo caso il Nunzio di Parigi, ambasciatore della Santa Sede. Questo lo sa bene Anne Souppa, 73 anni, da 35 anni con un ruolo attivo in seno al mondo cattolico, come scrittrice, teologa e presidente per 8 anni della Conferenza delle battezzate e dei battezzati francesi, e attuale presidente del “Comité de la jupe”.

Il suo programma è progettato anche per rispondere a varie questioni sollevate dall’affare Preynat,. «La prima priorità è l’ascolto, più ascolti e più la vita vince. Quindi devi prendere decisioni chiare sia nelle grandi direzioni che nelle piccole cose. La diocesi ha bisogno di sicurezza e chiarezza. Infine, una priorità non è quella di sacrificare la verità, non di giocare all’insabbiamento, perché nascondere è trasferire un debito alle generazioni future». 

Sulle questioni dell’invisibilità delle donne in seno al mondo cattolico, Anne Soupa spera che la sua candidatura incoraggi altre donne a seguire la sua strada. «Tutto mi autorizza a dire che sono in grado di fare domanda per il titolo di vescovo. Tuttavia, mi è proibito. Se la mia candidatura è proibita dalla legge canonica, è semplicemente perché sono una donna, perché le donne non possono essere sacerdoti e perché solo i sacerdoti, diventando vescovi, dirigono la Chiesa cattolica».

L’auspicio è che la sua candidatura giunga alle orecchie del pontefice, che ancora nei mesi scorsi ha chiuso nettamente la porta ad un’idea anche soltanto di diaconato femminile, soprattutto a causa delle forti opposizioni riscontrate in materia da parte dell’ala più conservatrice della chiesa.

In ogni caso, Soupa spera di avviare un grande movimento per «scuotere una chiesa» che ritiene chiusa e incapace di «cogliere le grandi questioni spirituali del nostro tempo». 

«Non ho molte speranze che si muova da sola. La mia unica speranza è che uomini e donne cattolici decidano di affrontare insieme questi problemi e di portarli nelle sedi appropriate. Che siano soprattutto le donne ad iniziare a candidarsi per far sapere al mondo di essere pronte per un ruolo più attivo».

La teologa ha concluso rendendo noto che nei prossimi giorni invierà al Nunzio apostolico di Parigi una professione di Fede, un programma per l’arcidiocesi di Lione, una biografia e un comunicato stampa. La battaglia della Soupa non si ferma al tema femminile, ma si estende anche al coinvolgimento dei laici, altro tema dibattuto ad esempio nel recente Sinodo amazzonico, senza sostanziali passi avanti. 

«In un momento in cui la chiesa attraversa una crisi molto profonda, dobbiamo provare a immaginare un altro modello».

Qualcosa di simile sta avvenendo da anni anche in Germania, con il movimento Maria 2.0 impegnato con sostanzialmente le medesime rivendicazioni.