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C’è un altro virus in giro (oltre al Covid-19)

Non è vero che “siamo tutti sulla stessa barca”, come spesso si sente ripetere, perché tra bianchi e afroamericani, nativi (ne avevamo parlato qui a proposito della popolazione Navajo colpita dal Covid-19), asioamericani o ispanici le differenze sono molto forti.

Lo osserva la Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti (PcUsa), che ha promosso“Covid ai margini” (se ne parla in questo articolo), una serie di video-discussioni in cui alcune comunità, a partire da quelle afroamericane, hanno testimoniato le esperienze e le sfide che si trovano ad affrontare. E dimostrano che no, non “siamo tutti sulla stessa barca”. A cominciare dal diverso accesso alle risorse, dal più alto livello di povertà e impoverimento, che ha comportato (tra le altre conseguenze) tagli dell’acqua nelle abitazioni, ancora più critiche in un periodo in cui si raccomandano frequenti lavaggi; o l’oggettiva impossibilità di fare la spesa per più giorni, a causa di un salario troppo basso o venuto a mancare del tutto. A ciò si aggiungono le tipologie di lavoro svolto, magari una somma di più lavori, per riuscire a portare a casa uno stipendio decente, nell’assistenza sanitaria, nella cura alla persona, gli spostamenti con i mezzi pubblici, la convivenza con molte persone in case piccole…

A tutti questi fattori di rischio si aggiunge la componente razzista, che colpisce non solo la popolazione afroamericana, come emerge dal primo video della serie, ma anche quella di origine asiatica, oggetto del secondo video della serie diffuso lunedì, un’offensiva «alimentata politicamente». Come denuncia la PcUsa in un altro articolo, con la notizia che in Cina si stava diffondendo un nuovo virus allinizio dellanno, sono cominciati gli episodi di discriminazione, riscontrati da diversi membri del personale dell’ufficio nazionale della Chiesa presbiteriana, i quali hanno sottolineato che non si trattava di casi isolati, ma che secondo uno studio del Dipartimento di Studi asio-americani dell’Università di S. Francisco, più di mille casi erano stati riscontrati tra il 28 gennaio e il 24 febbraio, e il timore era che ai discorsi d’odio e gli insulti razziali potessero seguire le violenze. E le previsioni sono state confermate… ora la PcUsa si chiede che cosa può fare, come chiesa, per contrastare questa situazione, e il video della serie “Covid ai margini” vuole offrire degli strumenti per agire anche concretamente, cominciando a interrogarsi sul proprio impegno solidale («quando assisto a un episodio di razzismo dico “Oh, è un problema degli asiatici” o mi sento coinvolto e faccio qualcosa per fermarlo?»).

La PcUsa non è l’unica chiesa statunitense a occuparsi del problema: anche in casa episcopale si accusa l’aggravarsi dell’intolleranza contro la popolazione di origine asiatica o delle isole del Pacifico durante la crisi del Covid-19, con episodi nei negozi, per strada, magari a poca distanza dalla propria abitazione e quindi in un contesto di “prossimità” ancora più inquietante.

Come già osservato dagli articoli in ambito presbiteriano, anche gli episcopali rilevano (l’articolo si trova qui) che «la retorica politica infiammatoria di Trump sul Covid-19 e la storia di razzismo e discriminazione degli Usa contro gli asio-americani e gli americani nati in Asia ha portato a un aumento dei discorsi e dei crimini d’odio verso gli americani di origine asiatica». Anche questa denominazione ha offerto spazi di confronto via video, con dirette Facebook curate da “The Gathering”, un gruppo creato dalla Diocesi di Los Angeles lo scorso ottobre, in cui asio-americani hanno testimoniato le loro esperienze, in alcuni casi doppiamente drammatiche considerando che il 15% dei professionisti in ambito sanitario e della cura alla persona sono appunto di origine asiatica, e si trovano esposti a una doppia minaccia.

C’è una storia particolare di razzismo contro questa popolazione, ricorda l’articolo, forse meno conosciuta di quella verso gli afroamericani, che comincia almeno nel 1882 con il “Chinese Exclusion Act”, con cui il Congresso approvava la prima legge di restrizione dell’immigrazione, motivata da questioni di “purezza della razza” ma anche dall’accusa verso la popolazione asiatica (che rappresentava il 2% del totale) di “far vacillare l’economia e abbassare i salari”. Con il passare dei decenni, si è radicata la percezione che gli asioamericani non fossero veramente americani, ma si riconoscessero ancora nei paesi d’origine: una delle conseguenze di questo è che ancora oggi, un sessantenne americano da 5 generazioni, i cui bis-bisnonni materni arrivarono negli Usa negli anni 50 dell’800, ha paura di parlare mostrando un accento “diverso”. E in questo periodo di emergenza Covid-19, gli stereotipi e la ricerca di un capro espiatorio non fanno che aumentare l’insicurezza, la paura, il senso di vulnerabilità. Perché oltre al Coronavirus, c’è un altro virus, ancora più subdolo, da cui guardarsi.

 

Photo via Istock: New York City, April 19, 2020: Couple wearing protective masks walk along empty street at Grand Central Terminal in Manhattan during the Covid-19 Coronavirus pandemic lockdown.