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In crescita il fenomeno dello “Zoombombing”

La Chiesa luterana di Saint Paulus a San Francisco (California) ha citato in giudizio la società di videochat Zoom dopo che un hacker ha violato mercoledì 13 maggio un corso di studio biblico virtuale pubblicando immagini pornografiche e di abusi sui minori.

In una dichiarazione, un portavoce di Zoom ha condannato “l’evento orribile”. «La nostra vicinanza va alle persone colpite. Lo stesso giorno in cui abbiamo saputo di questo incidente, abbiamo identificato l’autore del reato, abbiamo preso provvedimenti per bloccare il suo accesso alla piattaforma e lo abbiamo denunciato alle autorità competenti».

Zoom ha specificato che le sue «funzionalità di sicurezza sono state recentemente aggiornate», aggiungendo che gli utenti di Zoom non dovrebbero condividere con leggerezza l’accesso e le password delle riunioni «come sembra essere accaduto con il gruppo della chiesa».

La popolarità di Zoom, una delle App per videochiamate più usate nel mondo, è aumentata vertiginosamente negli ultimi mesi in cui le restrizioni agli spostamenti per via del coronavirus hanno tenuto milioni di persone a casa. L’hanno cominciata ad usare molti insegnanti per tenere videolezioni in diretta, aziende per fare riunioni, e anche chiese, sinagoghe e moschee per fare incontri.

Secondo la società di analisi dati sulle App, SensorTower, a febbraio Zoom è stata scaricata 6,2 milioni di volte: a marzo 76 milioni di volte, più del mille per cento in più. Parallelamente alla sua grande diffusione, però, è stato segnalato un problema: il cosiddetto “Zoombombing”, cioè la pratica di interrompere videolezioni e riunioni di vario genere in corso con messaggi insulsi o, nei casi peggiori, pornografici, razzisti e offensivi.

Purtroppo tali incidenti sono in crescita. Le minoranze, in particolare ebrei, gruppi afroamericani e Lgbt, sono state prese di mira da reti coordinate di troll che veicolano messaggi razzisti, sessisti e antisemiti.

Già a fine marzo, mentre era in corso sulla piattaforma Zoom un incontro biblico con i giovani adulti della scuola domenicale presso la Chiesa episcopale di St. David ad Austin, in Texas, i troll hanno violato la chat, condividendo video pornografici.

Ad inizio aprile, invece, i membri del gruppo “Impact Movement” erano in preghiera, quando hanno sentito delle voci che ridacchiavano e dicevano parole insensate: riaprendo gli occhi hanno visto sullo schermo il filmato dell’attacco armato in una moschea della Nuova Zelanda, avvenuto nel marzo 2019. 

Alla fine di aprile, qualcuno ha inviato immagini di linciaggi e pornografia durante un culto tenuto su Zoom dalla Chiesa episcopale metodista africana di St. Paul a Ewing, nel New Jersey. La Chiesa episcopale metodista africana nazionale ha continuato ad usare la piattaforma ma ha inviato una direttiva a tutti i membri per esortarli a rendere private le riunioni di Zoom, utilizzando la funzione di “waiting room” della App per proteggerla dagli sconosciuti.

Presso la First Baptist Church in Jamaica Plain (Boston), comunità aperta all’accoglienza di persone omosessuali, il sermone domenicale della pastora Laura Everett su Zoom è stato interrotto da troll che hanno iniziato a diffondere sugli schermi dei partecipanti messaggi di odio razzista e anti-LGBT. 

Anche le lezioni online della Yeshiva University sono state attaccate da antisemiti che hanno pubblicato meme e commenti sulla negazione dell’Olocausto; e i servizi trasmessi in streaming da una sinagoga di Londra sono stati interrotti da quasi 40 account che hanno iniziato a pubblicare una serie di commenti offensivi e neonazisti.

Per prevenire le aggressioni, la società di videochiamate ha pubblicato una guida che incoraggia gli organizzatori di riunioni a utilizzare le sue funzionalità di sicurezza, comprese le waiting rooms e le password, e a limitare la condivisione e le annotazioni sullo schermo. Tra le precauzioni per proteggersi, consigliate anche dall’FBI: su Zoom si possono organizzare videoconferenze pubbliche e private ed è bene propendere per le seconde; per controllare l’accesso si può richiedere una password oppure attivare una specie di sala d’attesa (Waiting room) che fa sì che solo gli organizzatori della videoconferenza possano dare l’accesso ai nuovi partecipanti; un’altra cosa da evitare è condividere il link di accesso a videoconferenze e videolezioni su post sui social network che chiunque può vedere; si può impedire ai partecipanti alle videoconferenze di condividere il proprio schermo con le altre persone presenti, basta cambiare le impostazioni; è bene inoltre che tutti i partecipanti usino la versione più aggiornata di Zoom: in una vecchia versione c’era una funzione che permetteva di trovare incontri a caso a cui partecipare.