saluzzo-10_0

Ragione, diritti e cattiva politica

Da mesi la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova, renziana di Italia Viva, chiede una regolarizzazione dei lavoratori agricoli che ormai sono in buona parte immigrati. Secondo il Dossier IDOS Confronti se ne contano circa 370.000, pari al 40% del totale degli addetti all’agricoltura. La manodopera immigrata è, insomma, un fenomeno strutturale del nostro settore primario. Lo confermano le concentrazioni stagionali di immigrati nel ragusano, punto di forza della produzione orticola nazionale; in centri della Puglia come Nardò (Le), specializzata nella produzione di angurie; a Rosarno, (Rc) dove li troviamo a raccogliere arance e mandarini; a Castel Volturno (Sa), curvi a raccogliere pomodori; a Saluzzo, tra i filari delle redditizie vigne piemontesi. 

Non da oggi, però, piccole e grandi aziende agricole lamentano la carenza di braccia per i picchi di lavoro della raccolta e chiedono al governo provvedimenti utili a favorire l’ingresso, almeno temporaneo, di immigrati da destinare alle specifiche filiere agricole. Analizzando meglio il fenomeno, inoltre, rileviamo un dato di grande interesse: la creazione di una catena migratoria dell’agricoltura che “sposta” i lavoratori nei luoghi di produzione stagionale, arrivando così a impegnarli per tutto l’anno. Facciamo un esempio: gli immigrati di Rosarno, conclusa la raccolta degli agrumi, si sono spostati in Campania dove sta per iniziare la lavorazione del pomodoro e, alla fine dell’estate, saranno nel Nord per le vendemmie; a ottobre torneranno in Calabria per pulire gli agrumeti e preparare la nuova raccolta.

Questa filiera mobile presenta vari problemi – a iniziare da quello delle abitazioni – ma produce anche dei vantaggi sociali: si tratta di uomini – più raramente donne, per ora – conosciuti e generalmente apprezzati dalle imprese, che hanno maturato una professionalità, imparato a “stare sul campo”, che hanno interesse a fermarsi in Italia e quindi a entrare in un percorso di integrazione. E nel tempo, diventeranno una risorsa per la produzione agricola nazionale, non solo essenziale ma anche qualificata e integrata. Il punto critico di questo modello che ha una razionalità economica riconosciuta e affermata dalle imprese – anche quelle più grandi che controllano l’ultimo segmento del mercato, vale a dire la distribuzione – presenta però una grave criticità: il sistema deve funzionare nel rispetto del lavoro, nella tutela dei diritti e dei salari, e nella regolarità della presenza degli immigrati che devono disporre di un permesso di soggiorno che consenta loro di “progettare” il proprio percorso di vita in Italia. Permessi di soggiorno troppi brevi, precari e difficilmente rinnovabili non favoriscono la costruzione di un modello di lavoro agricolo virtuoso ed efficiente. 

Ed ecco il ruolo della “buona politica”: affrontare e risolvere i problemi coniugando razionalità e diritto, esattamente come a nostro avviso cerca di fare la regolarizzazione di 600.000 lavoratori immigrati proposta dalla ministra Bellanova, includendo così anche altre categorie oltre a quella degli agricoli. La razionalità del provvedimento proposto è chiara: assunto che l’Italia ha bisogno di quote di lavoro in specifici settori produttivi – non solo agricoli – si copra questo deficit di manodopera con immigrati regolari, stabilizzati e integrati nella società italiana. L’alternativa la conosciamo: lavoratori precari e sfruttati come schiavi, alla mercé di caporali più o meno collusi con la criminalità organizzata, campi abbandonati, terreni incolti, degrado ambientale, ghetti diffusi di immigrati senza prospettiva se non quella di sopravvivere nell’assoluta marginalità.

La proposta della Ministra ha sollevato le immediate quanto prevedibili reazioni della Lega, contrario anche il resto del Centro destra. Nulla di sorprendente. Poi, però, sono arrivate le manovre renziane che hanno fatto “ballare” il governo Conte, seguite dalle fibrillazioni del M5S impegnato a difendere il ministro Bonafede dall’accusa del giudice Di Matteo di aver ceduto alle pressioni dei boss che non lo volevano a capo del Dipartimento di Amministrazione penitenziaria (Dap). A seguire, una quota importante dei parlamentari 5 Stelle ha iniziato a bersagliare il progetto Bellanova. Non sapremo mai se i due fatti sono in relazione l’uno con l’altro ma certo è che l’uno e l’altro hanno dato un duro colpo al progetto iniziale che rischia di fallire per ragioni esterne alla sua razionalità sociale e politica. Il risultato? Al meglio, una pasticciata mediazione per cui i permessi di lavoro potrebbe essere rilasciati ma in misura inferiore al previsto e per periodi assai più limitati. Se così sarà, la cattiva politica del ricatto e dei veti incrociati avrà vinto di nuovo su quella “buona” che deve coniugare ragione e diritti. 

Foto di Anna Lami