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“Parole al vento”

Nel quartiere Lamarmora, nella zona residenziale di Brescia, da quando è scattato l’imperativo di rimanere a casa, in un cortile condominiale va in scena, con un accurato “palinsesto”, l’esperienza di «Parole al vento»: due volte al giorno, alle 12 e alle 18, alcune persone dai balconi e dalle finestre condividono musica, poesie, letture. Ne parliamo con Mariano De Mattia, napoletano, infermiere presso l’Ospedale civile di Brescia, ideatore dell’iniziativa.

«Presupposto esistenziale è che nessuno prescinde dai suoi bisogni: in quanto operatore sanitario, coinvolto nell’emergenza Covid-19, mi sono ritrovato a trascorrere gli ultimi due mesi in casa da solo. È stato durissimo vedere i miei figli, che ho sempre incontrato non meno di 4/5 giorni a settimana, ogni 8 dieci, non poter incontrare la mia compagna che vive a Mantova se non attraverso una videochiamata. In pratica, andavo a lavoro, dove ero immerso nel dramma Coronavirus, e poi tornavo a casa dove mi ritrovavo solo nelle quattro mura domestiche. In questo tempo in cui è richiesto un supplemento di coraggio, di impegno, di fatica, tornare a casa e trovare le pareti, le mie urla hanno attraversato la mia carne, per cui sono uscito fuori dal balcone come un disperato, e lì ho ritrovato la socialità che non c’è mai stata in 20 anni da quando sono qui. Sul balcone mi sono messo a cantare, a parlare da solo, ed è successo che già dal secondo giorno si sono aperte alcune finestre e hanno avuto inizio timide collaborazioni. Nella educata Brescia, gelosa dei tempi e dei luoghi, a furia di riconoscerci tutti e tutte come bisognosi di socialità, ci siamo ritrovati a partecipare a “Parole al vento”. Ben 33 persone: adulti, bambini, italiani, stranieri, ci sono campani, bresciani, calabresi».

Cosa accade ogni giorno dai balconi di “Parole al vento”? 

«Due volte al giorno avviene una sorta di ping pong per cui da un balcone all’altro rimbalzano: Recalcati, Neruda, Platone, Pitagora, Garimberti, Saramago, Coelo, Merini, Zucchero, Pino Daniele, baby dance… da un balcone all’altro, come sui fili dei panni in alcune stradine di Napoli, scorre musica, poesia, racconti mitologici, letteratura, testi sacri. L’esperienza apparentemente di privazione che stavamo vivendo ha portato, probabilmente per meccanismi di resilienza, al recupero di una funzione che avevamo smarrito: siamo passati dalla chiusura degli spazi aperti alla apertura degli spazi chiusi. Prima del Covid-19 camminavamo per le strade ma guardavamo chini solo i nostri cellulari, mostrando al prossimo o la sommità del capo o la nuca; vivevamo in un tempo dove imperava il “capochinismo”, tutti con la testa abbassata in una idolatria dell’altrove e del dopo, perché non c’era niente di interessante nel qui e ora. L’obbligo di umanità scaturito da questa pandemia ci ha dimostrato la vacuità di quel nostro agire, e ha dato vita a qualcosa di miracoloso: la funzione umana, che si era un po’ atrofizzata, si è di nuovo messa in vita».

Nei giorni a venire cosa rimarrà di questa esperienza in te e nel tuo quartiere? 

«Un’esperienza del genere la può dimenticare solo chi prima del Covid non era al mondo, e non mi riferisco solo a chi non è mai nato, mentre resterà una memoria perenne in chi ha consentito a questa esperienza di attraversare il proprio corpo, fisico, mentale, emotivo. Questa esperienza ci ha insegnato tante cose, ad esempio, che noi siamo sempre quelli che hanno una gran fortuna! Nel senso che abbiamo visto gente che scappava dalla guerra, ammassata nelle tendopoli più disperate, bambini sotto l’acqua senza un riparo, senza cibo, e li abbiamo cacciati… Dio ha avuto pietà di noi facendoci sperimentare un pezzettino di quelle difficoltà che, in maniera molto più amplificata e drammatica, avvengono altrove, ma stando al sicuro delle nostre case, dove abbiamo potuto preparare pizze, torte, guardare Netflix e giocare alla Playstation. In questi giorni ho imparato soprattutto a concepire il tempo, il presente, come un’occasione speciale, un dono che si riceve e apprezza giorno dopo giorno. Un’esperienza triste come questa può produrre cose positive e cose negative, ciascuno deve scegliere da che parte vuole stare».

Domenica pomeriggio ci sarà l’ultimo saluto dai balconi di ”Parole al vento”. Cosa avverrà dopo?

«Abbiamo vissuto una vera e propria rivoluzione condominiale: negli ultimi cinque anni ci si conosceva solo per il proprio nome, cognome e per i millesimi che ciascuno aveva. Questa esperienza ci ha dimostrato che la trasformazione dei luoghi è possibile. Domenica questa avventura si concluderà, ma l’intenzione è di non chiudere i balconi, ma di lasciarli aperti e con essi tutte le altre cose che si sono spalancate in questo tempo: le menti, i cuori, le persone».