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Il nostro bisogno principale è di tenerci aperte le Scritture

Le chiese evangeliche hanno avviato da marzo varie iniziative online per poter tenere culti, studi biblici e catechesi a distanza, riflettendo su come queste pratiche possano modificare le prassi consuete o affiancarsi a esse. Si tratta anche di discutere sui vari modi di essere chiesa, e di “vivere la chiesa”. Dopo gli interventi di Winfrid Pfannkuche, Roberto Davide Papini, Sabina Baral e Peter Ciaccio pubblichiamo l’intervento di Elizabeth Green, pastora nelle chiese battiste di Cagliari e Carbonia.

In questi tempi di Coronavirus come chiesa battista di Cagliari abbiamo optato per produrre un “culto corale” unendo insieme brevi video una lettura, una preghiera, un canto, la riflessione sulla Parola. Lo scopo del culto, abbiamo pensato, consiste nel facilitare la relazione “verticale” della comunità con Dio ma anche quella “orizzontale” tra sorelle e fratelli, amiche e amici che domenica dopo domenica s’incontrano, facendo corpo, nei locali di culto. Ci è sembrato importante, quindi, coinvolgere più persone nel culto per poter sentire voci diverse e veder visi diversi: «Istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali» recita Col 3, 16. L’intenzione, quindi, non è dunque dire tante parole a tutti bensì una parola concisa pensata per un contesto preciso. Ne consegue la scelta di non mettere il culto online ma solo sulla pagina Facebook della chiesa. 

È ben noto (anche se tende a essere dimenticato) come la Riforma protestante abbia scombussolato le carte in tavola per quanto riguarda il sacro e il profano. In questi tempi mi sembra utile riscoprire il sacerdozio che tutti i credenti, donne e uomini esercitano laddove si trovano, facendo ciò che stanno facendo. 

Inoltre, poiché i nostri locali di culto non racchiudono uno spazio sacro, la loro chiusura forzata non costituisce (o non dovrebbe costituire) un dramma per il popolo protestante. Anzi, tenendo conto dell’importanza che assunse la casa – come luogo di fede – nella Riforma protestante, la campagna del Governo «#io resto a casa» potrebbe rivelarsi un’occasione per sviluppare, ripristinare o rafforzare ciò che per secoli ha costituito il punto forte del protestantesimo, la lettura personale della Bibbia.

Infatti, il versetto di Colossesi poco anzi citato inizia: «La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente». Per fare ciò non abbiamo bisogno tanto di locali aperti, quanto delle scritture aperte! E mi chiedo quanto la pratica quotidiana di lettura individuale della Bibbia sia ancora diffusa tra le nostre comunità. Un gregge, dunque, che sa anche «badare a se stesso» (Mc 13, 9) talvolta coadiuvato dal lezionario Un giorno una parola nonché dal materiale reso subito disponibile da pubblicazioni come Riforma e Confronti.

Tutto ciò, ovviamente è poco spendibile nella “società della performance”. Non fa scena e non va in scena (più scenografico, come qualcuno ha rimarcato sulle pagine di questo giornale è il papa che prega da solo in Piazza S. Pietro). Eh già, quando Gesù suggerì di pregare chiudendoci nella nostra cameretta, lui non aveva in mente l’audience ma un Dio che vede nel segreto. 

Per le nostre comunità, dunque, forse questo può essere (insieme ovviamente a tante altre cose), un tempo di lettura e di preghiera, in cui assumere la responsabilità della propria vita spirituale e scoprire o riscoprire, ciò che Uwe Habenicht chiama una “spiritualità minimalista” la quale, partendo dai padri e le madri del deserto, attraversa tutto il cristianesimo.