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Coronavirus. A Palermo fra nostalgia, cura ed energia

L’Agenzia Nev ha intervistato la direttrice del Centro diaconale La Noce di Palermo, Anna Ponente. Psicoterapeuta a orientamento analitico, Ponente si è specializzata all’Istituto italiano di psicoanalisi di gruppo.

Il Centro diaconale La Noce di Palermo è un’opera sociale della chiesa valdese che si occupa, fra l’altro, di servizi all’infanzia e per soggetti svantaggiati. Ha come obiettivi la prevenzione di forme di disagio e di emarginazione, la valorizzazione delle differenze e l’educazione a una cittadinanza consapevole e responsabile.

L’impegno delle chiese valdesi e metodiste a Palermo inizia già nel 1865, con l’apertura delle prime scuole. Attualmente il Centro diaconale La Noce coinvolge centinaia di beneficiari, fra cui numerose famiglie, operatori, volontari e 200 bambini delle scuole primaria e dell’infanzia.

Qual è la situazione al Centro La Noce a seguito dell’emergenza coronavirus?

La situazione al Centro diaconale la Noce è buona, nel senso che la maggior parte dei servizi sociali sono attivi: la Casa dei Mirti, con i minori stranieri non accompagnati; Casa di Batja con mamme e bambini vittime di maltrattamento; il polo diurno e notturno; il servizio educativo domiciliare a distanza; Casa vale la pena, che si occupa di persone affidate dall’ufficio di esecuzione penale che concludono la detenzione a domicilio; l’housing sociale.

In che modo state seguendo i servizi sociali, educativi e la didattica a distanza?

Abbiamo attivato la didattica a distanza e una parte dei servizi, anche grazie al Comune di Palermo. La scuola valdese ha iniziato le lezioni via computer e via chat. Non tutti i bambini e le bambine avevano gli strumenti, le famiglie hanno dovuto darsi da fare con cellulari, computer in prestito, e noi come scuola abbiamo dotato i bambini presenti in semiconvitto di alcuni tablet, che sono stati regalati poco prima di Pasqua grazie a delle donazioni.

Cosa potete notare nel tessuto sociale della città, in generale, e in particolare fra le persone che frequentano la vostra struttura?

Il Centro è un osservatorio privilegiato perché, fra servizi esterni e interni, possiamo constatare le condizioni di vita di tante persone.

L’emergenza sanitaria ha messo ancor più in evidenza le vulnerabilità, le ingiustizie e le diseguaglianze sociali. C’erano anche prima, chiaramente, ma ora sono emerse in tutta la loro forza. A questo si lega un altro problema: quello della perdita dei lavori saltuari.

La maggior parte delle persone di fasce sociali più povere ha perso il lavoro: badanti, addetti alle pulizie, persone non in regola che lavoravano a chiamata, genitori che raccoglievano il ferro, posteggiatori, chi accompagnava a fare la spesa, portando i pacchi… tutti quei piccoli introiti sono venuti meno.

La povertà fa vivere l’isolamento sanitario in modo molto più pesante e problematico

Come stanno affrontando la situazione le famiglie, i bambini e le bambine?

Ci sono bambini che vivono in abitazioni molto piccole, con poche stanze. Prima la strada era uno sfogo, ora tutto è diventato molto coercitivo, claustrofobico e pericoloso. Il rischio è che alcuni episodi di maltrattamento e violenza, nella promiscuità, possano esplodere.  In questa situazione è più difficile intervenire, non ci sono tutte le condizioni per mettere in atto gli interventi educativi, psicologici e pedagogici di tutela del minore che in genere è possibile effettuare.

Quali sono le criticità che avete riscontrato?

Le difficoltà riguardano una fascia molto ampia della popolazione palermitana. Dai precari di cui abbiamo parlato prima, alle famiglie, a quelli che fino a ieri erano minori non accompagnati e che oggi, neo maggiorenni, vivono per strada.

Nel progetto di Housing sociale, che ospita al momento 20 persone (sfrattati, rom…) abbiamo notato un peggioramento delle condizioni di vita; da luogo di transizione che serviva per progettare un futuro, luogo di convivenza solidale fra tante culture e religioni, ora non possono più uscire, non possono lavorare, non possono fare tirocini, nulla.

Poi ci sono le difficoltà e la gravissima sofferenza delle famiglie che devono gestire l’handicap. Purtroppo, con la sospensione del servizio ambulatoriale e di riabilitazione domiciliare in convenzione con l’ASP c’è una profonda sofferenza delle famiglie che devono gestire, nel quotidiano, bambini con handicap, che non possono più seguire terapie di logopedia e psicomotricità. Una percentuale elevatissima di questi bambini proviene dai quartieri più difficili di Palermo e hanno perso i punti di riferimento esterni rappresentati dai terapisti, dai medici e dagli assistenti sociali.

Come ha reagito la città?

A Palermo si è attivata una grande rete di solidarietà, di cui il Centro diaconale fa parte. Dalla tutela del diritto allo studio, ai buoni pasto per famiglie particolarmente povere.

Per l’accoglienza dei senza fissa dimora continuiamo a gestire il polo diurno e notturno e ne stiamo aprendo un altro in collaborazione con l’Opera don Calabria, la Croce rossa italiana e la cooperativa Panormitana della Caritas. Sono strutture ormai aperte h 24 rivolte a persone che corrono enormi rischi.

Com’è l’atmosfera oggi al Centro diaconale La Noce?

Siamo tutti con le mascherine, i guanti, i dispenser per tutti gli uffici, insomma viviamo con le dotazioni di sicurezza basilari.

Il clima è vitale, nonostante la situazione di incertezza. Aldilà delle paure, del contagio e della morte, della tristezza e del cambiamento così traumatico, ogni giorno devo ringraziare per questo gruppo allargatissimo di solidarietà che coinvolge operatori, ospiti e tutta la rete di persone che lavorano e gravitano intorno al nostro Istituto.

Nonostante le differenze di fede e di provenienza, a Pasqua le comunità si sono scambiate dei doni, musulmani e cristiani hanno condiviso una festività che per noi ha significato. Le persone si parlano dai balconi, il Giardino della Noce, amato da tutti e sognato dai bambini, è usato a turno, nel rispetto delle disposizioni. Sono tutte diventate occasioni importanti di crescita collettiva.

Qual è la sfida secondo lei più difficile?

La sfida del gruppo di tenere viva l’energia, la voglia, la motivazione, la passione. Il centro è accudito, fin dalla prima ordinanza abbiamo provveduto alla sanificazione. Abbiamo agito con rigore, i lavoratori del settore sociale stanno lavorando tantissimo sia per far rispettare a tutti le regole sia per tenere alto l’umore.

E poi c’è la nostalgia del Centro diaconale, della fisicità, della sua vita fatta di suoni, bambini, rumori e voci.

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano a proposito della possibilità per i più piccoli di passeggiare vicino casa anche in questo periodo di emergenza sanitaria ha dichiarato: “un’interpretazione sistematica delle norme vigenti porta a ritenere che lo svolgimento dell’attività motoria nei pressi dell’abitazione sia consentito anche ai più piccoli in compagnia del genitore o del familiare convivente, purché questo avvenga nel rispetto delle regole sul distanziamento sociale, lo stretto necessario e con tutte le dovute cautele. Anche perché, se ciò non fosse possibile, si finirebbe per negare ai bambini, che più di altri necessitano di movimento all’aria aperta in ragione della loro età, una possibilità già concessa agli adulti”. Cosa ne pensa?

In questo momento, data la situazione gravissima della pandemia, penso che le misure applicate a Palermo, come in tutta Italia, siano state utili. Abbiamo visto dei risultati. Un mese e mezzo non è tantissimo.

Secondo me in questo mese non è accaduto niente di grave. I bambini hanno recuperato una dimensione intra-familiare, così come gli adolescenti. Non ho visto risvolti di tipo traumatico. Se dovesse continuare in questi termini potrebbe comportare dei rischi sul piano emotivo, affettivo e relazionale, ma penso che dopo la prima forte restrizione, man mano, cominceranno degli allentamenti. Mi pare che siamo in linea con una buona politica, anche per l’infanzia.

Il problema sarà dopo. Torneremo fuori, ma dovremo ricordare cosa abbiamo osservato, cosa sappiamo sui diritti dei bambini e delle bambine.

Fino a un mese fa non ci siamo nemmeno preoccupati dei loro diritti, ma la loro situazione non era diversa. L’emergenza coronavirus deve essere di stimolo per ragionare in prospettiva futura, per mettere in campo progetti a lungo termine di prevenzione primaria e secondaria, di cui non si parla più da tempo.

Servono servizi per le fasce 0-6 anni, e per l’infanzia e le famiglie in tutti i quartieri, non in modo estemporaneo, ma in modo stabile.

Cosa possiamo imparare, secondo lei, in questo momento critico? 

Ho notato una grande capacità di attenzione e cura, di pensarsi, quotidianamente, di essere collegati con affetto e preoccupazione, in termini positivi, del pre-occuparsi, cioè occuparsi prima. Una cura reciproca, una cura verso chi sta in prima linea. Le persone sono chiuse in casa da marzo, ma alcuni educatori e coordinatori escono, fanno i turni anche di notte. Oltre alla loro professionalità, alla competenza che connota il loro lavoro da sempre, c’è la loro umanità.

Cosa si aspetta per il futuro?

Io spero che non ci si dimentichi di questo momento. Temo quella forma di difesa della mente umana che potrebbe portarci a dimenticare. Siamo riusciti a mettere in campo una serie di risorse per affrontare problemi e vulnerabilità e dobbiamo continuare a farlo, e fare di più, fermarci a riflettere sul fatto che prima correvamo tantissimo, ma forse verso obiettivi sbagliati.

Dobbiamo avere rispetto dell’ambiente, di sé e degli ultimi. Di chi lavora in nero, di chi non è retribuito. Questo, penso, sia il monito per il futuro.


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Foto: spesa solidale a La Noce di Palermo