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Debito, colpa, virus

L’epidemia di Coronavirus porterà con sé anche una devastante crisi economica. Una crisi che colpisce insieme l’offerta e la domanda in tutto il mondo. Come ha scritto Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea (Bce), saranno inevitabili, per fronteggiarla, alti livelli di deficit e debito pubblico, pena una distruzione permanente di capacità produttiva. Nell’Unione Europea, in poco più di un mese regole come il Patto di Stabilità o il divieto di aiuti di stato sono state sospese o congelate. L’Eurogruppo del 9 aprile ha attivato numerosi interventi e altri ne ha promessi, ma è solo un primo passo. La Bce, secondo molti commentatori, dovrebbe emettere moneta comprando titoli pubblici dagli stati membri e distribuirla direttamente alla popolazione più colpita dalla crisi, come “reddito di quarantena” a tempo determinato. Oppure potrebbe emettere titoli comuni europei, gli Eurobond (o Coronabond).

Questo è il punto su cui si sono cristallizzate posizioni opposte, tra un fronte del Nord (Germania, Olanda, scandinavi, baltici, Austria), contrario a ogni ipotesi di mutualizzazione del debito e i paesi del Sud (Italia, Francia, Spagna, Portogallo e altri). Il timore di questi ultimi è che, a crisi sanitaria finita, ogni Paese si ritrovi da solo con il maggior debito accumulato per far fronte all’emergenza. I paesi più deboli e indebitati dovrebbero ricercare fondi sui mercati finanziari a tassi molto maggiori rispetto ai paesi dai bilanci più solidi: questo esaspererebbe le tensioni e metterebbe a rischio la tenuta della zona euro.

I paesi del Nord, richiamandosi al vecchio apologo della cicala e della formica, affermano di non voler pagare i debiti degli “irresponsabili mediterranei”, dimenticando che quella di oggi è una crisi “simmetrica”, provocata da un evento esterno e incontrollabile, non da indisciplina finanziaria. Anzi, se i sistemi sanitari pubblici hanno difficoltà a reggere l’impatto della pandemia, è anche a causa dei tagli richiesti dalle politiche di austerità. Può essere di qualche interesse per i lettori di Riforma notare che questa contrapposizione tra Nord e Sud d’Europa viene ricondotta da alcuni commentatori alla dicotomia tra cultura cattolica e protestante. Ne hanno parlato, in un garbato botta e risposta su Avvenire, il teologo cattolico Luigino Bruni (31 marzo) e il professore della Facoltà valdese di Teologia Lothar Vogel (8 aprile). Bruni (riprendendo un’osservazione di Nietzsche) sottolinea come in tedesco (e in olandese) “debito” e “colpa” siano la stessa parola (Schuld)per cui non è un caso che questi due paesi, accomunati dal forte influsso della Riforma, siano alla testa del fronte che rifiuta la messa in comune dei debiti dell’Eurozona. Vogel risponde che il debito è una questione reale, un vincolo per le democrazie da non trascurare, e che non bisognerebbe sopravvalutare il ruolo dell’etimologia nel formare le mentalità.

In realtà, il nucleo duro dei “rigoristi” (che comprende anche paesi cattolicissimi come Austria e Polonia: le stesse Germania e Olanda non sono compattamente protestanti) coincide con l’area economica tedesca, quella dove è più forte l’industria manifatturiera. In Germania o in Olanda le posizioni non sono monolitiche: il dibattito si muove più sull’asse sinistra-destra che su quello confessionale (se il liberale Die Welt dice che gli aiuti europei «se li mangerebbe la mafia», il socialdemocratico Der Spiegel sostiene che «rifiutare gli Eurobond è gretto e vigliacco»).

Il capitalismo finanziario, poi, è un po’ più complicato delle favole di Esopo: creditori e debitori sono fortemente interdipendenti. Come ha detto l’ex banchiere centrale olandese Nout Wellink, «se il Sud crolla, il Nord opulento cesserà di esistere».

Nella Bibbia troviamo la saggezza convenzionale dei Proverbi e la remissione periodica dei debiti del Levitico. Come ci ha insegnato Max Weber, l’imprenditore che vede nella ricchezza un segno di elezione è frutto del protestantesimo secolarizzato. Ma il Welfare State universalistico “dalla culla alla tomba” è nato in terra protestante. L’Europa è a un bivio: la contrapposizione tra egoismi nazionali può condurre alla disgregazione, la consapevolezza che siamo davanti a una sfida comune può portare quantomeno a una messa in comune di oneri e risorse, senza paradisi fiscali interni (tra cui campeggia la rigorosa e virtuosa Olanda). Le chiese dovrebbero essere in prima fila a combattere i sovranismi di ogni genere – quelli dei debitori come quelli dei creditori – e a costruire una coscienza comune dei popoli europei per combattere povertà, disuguaglianze e discriminazioni, che resteranno a lungo tra noi anche a pandemia finita.