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Emergenza Coronavirus. Salviamo i cavalli del centro Equus

«Noi figli di mafiosi o persone vicine a sistemi criminali dobbiamo imparare a disprezzare i nostri padri quando sono padri sbagliati»: si esprime così Giuseppe Cimarosa ai microfoni dell’inviata speciale del TG1 Maria Grazia Mazzola, nel corso di un servizio andato in onda nel luglio 2019.

Giuseppe è nipote di Matteo Messina Denaro: la mamma è prima cugina del mafioso italiano, considerato tra i latitanti più ricercati e pericolosi al mondo. La sua presa di distanza dal boss e dal clan mafioso avviene quando, poco più di un adolescente, entra in conflitto con il padre, Lorenzo Cimarosa, imprenditore edile, diventato poi collaboratore di giustizia. È Lorenzo ad accusare l’imprenditore Vito Nicastri, il “re dell’eolico”, finanziatore del boss Messina Denaro, e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. 

«Il rapporto con mio padre è stato conflittuale – ci racconta Giuseppe al telefono –. Non ero contento ed orgoglioso di lui. Tutti a Castelvetrano (Trapani) erano succubi del fascino di Matteo Messina Denaro. Io invece più scoprivo chi fosse veramente quell’uomo, più me ne vergognavo. Ed ero arrabbiato con mio padre perché non rappresentava ai miei occhi l’esempio che avrei voluto».

Lorenzo Cimarosa, che all’epoca gestisce una cava di sabbia, è arrestato per associazione mafiosa, ma l’accusa decade e sconta soltanto una condanna di danneggiamento. Resta in galera senza fare i nomi. «Avevo 15 anni. Mio padre sconta 6 anni di carcere: è accusato di un incendio ai danni di un socio, che in realtà non ha compiuto; ma non confessando il nome del vero colpevole, appare agli occhi della famiglia dei Messina Denaro una persona affidabile. Il silenzio di mio padre fu per me un colpo durissimo». 

In quel momento Giuseppe conosce la storia di Peppino Impastato, attraverso il film I cento passi di Marco Tullio Giordana. Scoprire una storia simile alla sua lo cambia profondamente. Quando Lorenzo Cimarosa esce dal carcere, si trova dinanzi non più un adolescente ma un uomo, e il confronto tra i due è ancora più duro. 

«Gli diedi un ultimatum: se fosse successo un’altra volta lui mi avrebbe perso per sempre. Per me era fondamentale fargli capire che la mafia faceva schifo, e che Messina Denaro era un criminale. Finivamo sempre con il litigare, e in quegli scontri mio padre non tentava mai di farmi cambiare idea, anzi era quasi soddisfatto nel vedermi così agguerrito. Soltanto dopo ho capito il perché: sapeva benissimo che io non avrei avuto mai ceduto alla mafia, e ne era felice».

Nel 2013, avviene il secondo arresto. Lorenzo Cimarosa è assoldato da Messina Denaro con la funzione di prendere degli appalti, gonfiare le fatture, e dare parte del denaro a loro.

«Volevo mantenere la promessa che gli avevo fatto: non volevo più vederlo. Ma mia madre mi convinse ad andare al primo colloquio e a dirgli in faccia quello che pensavo. Quanto avvenne ci sconvolse: entrò nella saletta dei colloqui piangendo, non avevo mai visto piangere mio padre! Ci comunicò che aveva deciso di collaborare con la giustizia. Piangeva perché sapeva il prezzo che avrebbe chiesto a tutti noi. Quel momento rappresentò per me una rinascita: era diventato il padre che avevo sempre voluto».

Giuseppe sceglie di restare a Castelvetrano, e di non fare più ritorno a Roma, dove ha studiato scienze archeologiche, per restare accanto al padre che si era finalmente schierato dalla parte della giustizia. Giuseppe, insieme alla mamma e al fratello, rifiutano il programma di protezione. «C’era il problema della nostra sicurezza, ma non potevamo rinunciare alle nostre libertà per delle colpe non commesse. Dopo anni in cui avevo lottato per realizzare i miei sogni e quello che sono, non potevo accettare di cambiare identità e scappare in un posto sconosciuto. Ho preferito la libertà cucendomi addosso a doppio filo il rischio, che non mi sarà cancellato finché non cattureranno Messina Denaro».

Con enormi sacrifici, Giuseppe insegue il suo talento e i suoi sogni. A Roma, accanto ai suoi studi universitari, approfondisce la pratica dell’arte equestre, passione coltivata fin da bambino. Mette su il «Teatro equestre Cimarosa», unico progetto esistente in Italia, dove teatro, arte equestre, danza e musica si fondono creativamente insieme, e fonda a Castelvetrano, il Centro Equus, che è più di un centro equestre classico. Oltre alle lezioni di equitazione, volteggio, addestramento cavalli, il Centro offre anche un importante servizio sociale: l’ippoterapia per persone diversamente abili.Quando il padre ha cominciato a collaborare con i magistrati, quasi più nessuno è andato al maneggio. Ma Giuseppe non si è arreso e ha avuto il sostegno di tanti, tra cui don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, che ha abbracciato Giuseppe e la sua famiglia, accogliendoli e sostenendoli nella svolta per la legalità.

Oggi il Centro Equus è un luogo di aggregazione alternativo per tanti giovani del territorio, ai quali Giuseppe testimonia che è possibile coltivare il proprio talento, «inteso come saper fare una cosa e studiare per migliorarla, sudare per ottenerla e farla diventare ragione di vita, arma di riscatto, nutrimento per migliorare ciò che ci sta intorno». 

Purtroppo l’arrivo del Coronavirus ha messo in ginocchio anche il Centro Equus: tutte le attività sono sospese ma non le prime necessità dei cavalli. E Giuseppe ha lanciato un grido di aiuto per i suoi cavalli che rischiano di morire di fame. 

«I cavalli presenti al Centro sono diciotto: sei sono di proprietà di alcuni clienti, gli altri sono a carico mio. Molti di questi animali sono stati salvati dai macelli e sono diventati degli angeli per tanti ragazzi che, nel rapporto con questi animali, hanno trovato un modo per superare la disabilità, il disagio e l’emarginazione. In magazzino ci sono delle scorte ma non dureranno per molto». 

Per fronteggiare nell’immediato questa situazione è stata lanciata una raccolta fondi su GoFundMe che si chiama Covid-19 Salviamo i cavalli del Centro Equus.

«Mi imbarazza terribilmente chiedere denaro in questo momento difficile per tutti, però alcuni miei compagni d’infanzia, amici di sempre, hanno avviato una campagna di solidarietà per raccogliere fondi. Anche un piccolo segno può fare in modo che questa nostra piccola realtà non scompaia. Non ho mai avuto paura di nessuno, neanche di Matteo Messina Denaro, ma ora mi spaventa terribilmente l’incertezza di poter dare un futuro ai miei cavalli, che vanno sostenuti e non abbandonati».

In prima linea a sostenere il Centro Equus anche l’inviata speciale Rai, Maria Grazia Mazzola: «Ho conosciuto, intervistato e incontrato Giuseppe Cimarosa con la sua famiglia, ed è testimonianza unica di resistenza per la legalità nella propria terra, circondato da quanti invece coprono la latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Sostenere Giuseppe, artista del Teatro Equestre e i suoi cavalli, riguarda tutti noi: il territorio a Castelvetrano, o è della mafia o è dello Stato. E Giuseppe con la sua attività svolge una importante funzione sociale. I suoi cavalli aiutano i bambini in difficoltà con l’ippoterapia, i suoi cavalli della legalità fanno parte della catena sociale del sostegno ai più deboli. È una testimonianza rara perché non ha mai voluto lasciare la sua terra. Salviamo il centro Equus, salviamo il frutto della legalità».

Il momento è difficile per tanti, ma donare anche solo pochi euro può aiutare a tenere in piedi un’attività che, in una terra ancora incatenata dai lacci della Mafia, resiste come luogo di bellezza, laboratorio di solidarietà e presidio di legalità.