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Io, siriano, vi dico: «Voi italiani avete lo spirito giusto per resistere. La guerra però è un’altra cosa»

Antoine Khoury, classe 1993, è uno dei siriani accolti in Italia grazie al progetto dei corridoi umanitari, realizzati dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia, dalla Tavola Valdese e dalla Comunità di S.Egidio. È una delle 1895 persone giunte nel nostro Paese nell’ambito di questa iniziativa che garantisce ai rifugiati un viaggio in sicurezza e dignità, dal Libano, e un percorso di integrazione, in Italia, dal 2016 ad oggi.

Insieme alla madre e al fratello maggiore, è arrivato con un volo da Beirut a novembre del 2018 e da allora vive in Piemonte, dove fa parte del progetto di accoglienza gestito dalla Diaconia valdese, l’ente ecclesiastico che coordina l’attività sociale e gestisce le strutture di assistenza della Chiesa valdese. Oggi, a Pinerolo, dove abita con la famiglia in un appartamento, è a casa, segue le restrizioni agli spostamenti stabilite dai decreti, come tutti, e racconta come sta reagendo alle restrizioni imposte per impedire e limitare il più possibile la diffusione del coronavirus.

E prima ancora della pandemia, del suo percorso in Italia, dall’arrivo due anni fa.

«Abbiamo trascorso i primi sei mesi in Italia studiando moltissimo la lingua, da casa e poi, nella scorsa estate siamo riusciti a fare gli animatori al centro estivo, per due mesi. A settembre siamo stati fortunati e abbiamo avuto la possibilità di iscriverci, io e mio fratello, all’università a Torino”, racconta Antoine. Che aveva già frequentato l’università, in Siria, “facevo fisica, per 4 anni, ma non sono riuscito a finire a causa della guerra».

Difficile se non impossibile farsi convalidare quei 4 anni e di qui la decisione, per non dover cominciare da capo gli studi di fisica, di iscriversi al corso in mediazione linguistica: «mi piace imparare le lingue, ho già dato tre esami. E oltre alle lezioni, adesso sto facendo anche un corso di programmazione, creato ad hoc per i rifugiati in Italia, Powercoders, iniziato il 24 gennaio, ora lo seguo online».

A Pinerolo la famiglia di Antoine si trova bene. «A me piace molto il paese, ci siamo sentiti accolti da subito. Ancora non ho tante amicizie ma molti colleghi dell’università coi quali mi sento e mi scambio consigli. Ho un sacco di amici siriani che si trovano ancora nel Paese dove siamo scappati e dove abbiamo vissuto per due anni, il Libano, dove la situazione per loro diventa sempre più difficile, e molti altri in Siria, ad Aleppo, la mia città».

Oggi la vita di questo giovane siriano è cambiata, come quella di tutti.

«Stiamo a casa, come tutti, dal primo marzo, cerchiamo di passare il tempo nel modo più utile possibile. Per esempio mia mamma sta continuando a frequentare via web la scuola di italiano». La madre di Antoine, già insegnante in Siria, è tra l’altro impegnata nel progetto della Diaconia Valdese chiamato Porto aperto social Point, che organizza corsi di lingua, e tiene lezioni di lingua araba aperte a tutti.

«Per me stare a casa e non poter uscire non è una cosa nuova – spiega Antoine – l’abbiamo già vissuta…Mi fa un po’ ricordare quello che abbiamo già passato in Siria. Ma non c’è la paura delle bombe, c’è la paura del virus. Non voglio sminuire la malattia, perchè attacca tutti, è come una guerra contro l’umanità intera. Ma voglio sottolineare che alla fine, l’emergenza finirà, torneremo spero presto alle nostre vite. Abbiamo tutti tanto tempo libero, ci può servire per pensare a tante cose che prima non avevamo il tempo di affrontare, forse in questo tempo sospeso possiamo anche imparare qualcosa di nuovo: sta a noi decidere di farlo».

Antoine usa con cura le parole, le pesa, padroneggia perfettamente la lingua italiana e ci tiene che i suoi messaggi siano chiari e precisi. Pensa a studiare, vuole conseguire la patente, avrebbe dovuto sostenere l’esame di guida il 16 marzo, e invece aspetterà, per raggiungere questo suo altro piccolo grande traguardo.

«Voglio dire però una cosa agli italiani – aggiunge – , ed è che avete uno spirito, lo spirito giusto, per combattere dei tempi come questi. Cantare sul balcone, è una cosa che dimostra il vostro spirito, siamo usciti anche noi coi vicini, sui balconi, non a cantare ma a stare insieme, sì. Ce la faremo».

Disegno di Francesco Piobbichi – operatore del progetto Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI)