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Possiamo uscirne solo considerandoci una comunità unica

Un’emergenza nell’emergenza: nella contingenza della pandemia Covid-19 si rischia di dimenticare, o per lo meno di lasciare da parte, tutte quelle situazioni di “emergenza costante” che riguardano le persone più vulnerabili: profughi, persone senza fissa dimora, detenuti…

Ne ha parlato a Radio Beckwith evangelica (qui l’intervista) il pastore Francesco Sciotto, membro della Commissione sinodale per la diaconia, commentando il comunicato della Csd diffuso venerdì (qui il testo), intitolato proprio “Nell’emergenza non dimenticare gli ultimi”, che pone l’attenzione su questo aspetto.

«Riceviamo notizie quotidiane dai nostri operatori che lavorano sul campo, sia nell’ambito socio-sanitario (case di riposo, strutture per persone disabili), sia sulle strade, attraverso i servizi di inclusione», commenta Sciotto. «Abbiamo voluto ricordare le persone che in questo momento, a causa dell’emergenza e dell’isolamento in cui ci troviamo, vivono in maniera ancora più precaria la loro condizione, ulteriormente aggravata dalla situazione contingente».

Nel comunicato vengono ricordate quindi, continua il pastore, «non soltanto le persone costrette a continuare a lavorare per il bene di tutti, ma anche quelle che vivono in condizioni di estremo disagio: i profughi ammassati nei campi o nelle frontiere di quella che dovrebbe essere l’evoluta Europa, le persone che vivono nei campi nomadi e nelle baraccopoli, le persone ai margini: chi è ai margini vive oggi maggiormente la propria condizione di marginalità. Il virus, presentato come estremamente democratico, rende ancor più precaria la condizione di chi si trova in difficoltà».

La presa di posizione della Diaconia valdese sottoscrive un appello rivolto al Governo cui hanno aderito anche Anpi, Gruppo Abele, Arci, che affronta una situazione specifica e particolarmente drammatica come quella degli istituti penitenziari: «Abbiamo fatto nostra una serie di richieste venute principalmente dalla Cgil e da Antigone, rivolte al Governo perché la condizione delle carceri possa essere migliorata. Dal momento che l’emergenza è arginare il virus, insieme a queste associazioni chiediamo misure nei confronti dell’enorme affollamento degli istituti di pena, misure che non sono state prese in considerazione nell’ultimo decreto, che permettano a persone in condizione di estrema fragilità di scontare la pena all’esterno degli istituti, per esempio gli ultrasessantenni, le tante persone malate, che rischiano, se contraggono il virus, di vedere aggravarsi pesantemente la loro condizione clinica».

Il comunicato definisce queste richieste “ragionevoli”, «anche se alcune parti politiche hanno considerato le poche aperture del Governo in questo senso come un indulto: non è così, anzi, bisogna fare di più e meglio perché in questo momento l’emergenza sociale è arginare la diffusione del virus».

E, come si legge anche nel comunicato, si combatte la diffusione del virus «considerandoci come una comunità unica, che non esclude e si prende cura, anzitutto, della sua parte più debole». 

Si vuole ribadire, conclude Sciotto, che possiamo uscire meglio da questa condizione «se ci consideriamo una comunità unita e unica, non ci siamo “noi” e gli altri”, i poveri da far rimanere sempre più poveri, i detenuti che solo perché sono tali devono soffrire ancora di più, le persone delle baraccopoli che meritano di finire e stare lì, dobbiamo considerare la cura come qualcosa che riguarda tutti noi».

Seguendo l’esempio di Gesù che, sono le parole conclusive del documento, «accolse ed andò incontro all’orfano, alla vedova, all’ammalato e al lebbroso svelando il volto umano di quanti e quante incontrava, rendendoci testimoni di una guarigione che era ed è anzitutto restituzione di dignità sociale a chi era prima nella sofferenza e nel dolore».