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Il virus non ferma le partenze dalla Libia e l’acqua è un bene per pochi

La pandemia di coronavirus sta attualmente impedendo l’azione dei mezzi di salvataggio nel Mediterraneo. «Non è presente una sola nave privata nel Mediterraneo, anche se le barche e i gommoni dei rifugiati continuano a partire e sono ancora in difficoltà», ha detto Ruben Neugebauer dell’organizzazione Sea-Watch all’agenzia di stampa tedesca Evangelical Press Service (Epd). I soccorritori sono estremamente limitati dalle misure attuate oramai a livello continentale contro il virus. «Nel cantiere navale di Messina, dove si trova la Sea-Watch 3, i negozi di pezzi di ricambio sono chiusi.  A causa delle restrizioni imposte per i viaggi, è anche difficile mettere insieme un equipaggio di volontari, solitamente provenienti da tutta Europa».  

Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), centinaia di rifugiati che volevano attraversare il Mediterraneo sono stati riportati in Libia nei giorni scorsi. Lì sta aspettando la detenzione nei campi, cioè violenza, tortura e tratta di esseri umani. L’organizzazione Alarm Phone, che effettua chiamate d’emergenza per i rifugiati intercettati nel Mediterraneo, riferisce costantemente sulle barche mancanti e sulle persone scomparse: almeno 500 persone segnalate su cinque differenti imbarcazioni nell’ultima settimana, giunte dopo tragiche peripezie chi in Grecia, chi a Cipro, chi alle Canarie.

Le restrizioni di viaggio sono anche un grosso problema per l’organizzazione di soccorso Sea-Eye con la sua nave “Alan Kurdi”. «I nostri equipaggi sono sempre composti da persone di almeno sei nazioni, al momento è quasi impossibile comporli», spiega il portavoce Gorden Isler. Anche le donazioni stanno diminuendo a causa della crisi. «Per una piccola organizzazione come la nostra, questa è sicuramente una minaccia per la sopravvivenza». Alan Kurdi è attualmente nel porto della città spagnola di Burriana per manutenzione. 

Anche l’”Ocean Viking” di Msf Medici senza frontiere e Sos Méditerranée non può muoversi nel Mediterraneo. «Siamo impegnati a riprendere al più presto i nostri sforzi di salvataggio», hanno affermato le organizzazioni. Ma la situazione eccezionale dovuta alla pandemia non consente un ritorno immediato in mare.. La nave aveva portato 276 persone soccorse al porto siciliano di Pozzallo il 23 febbraio ed era stata messa in quarantena, che si è conclusa da pochi giorni.

La “Sea-Watch 3” è stata a sua volta messa in quarantena dopo lo sbarco di 194 rifugiati nel porto siciliano di Messina. Le misure contro la diffusione del coronavirus sono sensate e necessarie, ha sottolineato Neugebauer. Tuttavia, la pianificazione di possibili operazioni di salvataggio è resa anche più difficile dal fatto che le navi vengono immediatamente isolate nuovamente dopo un’operazione. «Ma vorremmo evitare che tutte le navi vengano messe in quarantena nello stesso tempo».

Ecco perché le varie organizzazioni si stanno coordinando ancora più strettamente di prima per garantire che almeno un’imbarcazione possa essere sempre presente nel Mediterraneo. Inoltre, anche il piano di ricognizione dell’aereo “Moonbird” è bloccato.  A causa del divieto di sbarco a Malta, non è possibile compiere il necessario rifornimento.

Nel mentre sull’isola di Lesbo da alcuni giorni il campo migranti di Moria è chiuso, si fa per dire, dalla sette di sera alle sette del mattino, per l’emergenza Covid-19. La polizia presidia il territorio. «Non è stato evacuato – riporta la giornalista freelance Federica Tourn-, è stato sigillato: 20 mila persone strette l’una all’altra ma impossibilitate a muoversi, così se si infettano si ammalano e muoiono soltanto loro». Il blocco totale di ogni attività in Grecia, sul modello italiano, comporta anche lo stop a ogni valutazione di domande per visti umanitari, permessi di soggiorno e quant’altro. 

Intanto in Italia medici e operatori delle Ong, impossibilitati a uscire in mare, sono in prima linea a fornire il loro contributo nelle azioni contro il coronavirus.

Sono 83 i medici, infermieri e Oss, volontari di Mediterranea, operativi fin dai primi giorni di emergenza. Sono tutte e tutti del Servizio sanitario nazionale, e fino a prima della pandemia, avevano utilizzato le loro ferie, i riposi dal lavoro negli ospedali, ambulatori e ambulanze per continuare a soccorrere, sulle navi: in mare come in terra. Lo rende noto l’Ong Mediterranea Saving Humans, che con la Nave Jonio, è spesso impegnata in interventi di salvataggio dei migranti in mare. Stesso discorso per Medici senza Frontiere, i cui medici sono impegnati a Codogno, a Lodi, nell’area più a rischio.

Oltre che in Italia i team medici di Msf stanno intervenendo anche in Francia, Spagna, Belgio, Grecia, Cina e Hong Kong e sono in contatto con le autorità sanitarie in altri paesi.

Emergency è a sua volta negli ospedali lombardi da almeno due settimane, nonostante le polemiche da sciacalli di giornalisti prezzolati e leoni da tastiera della disinformazione, che rimarranno come esempio della mala-informazione di questo periodo buio.

Domenica 22 marzo era la giornata mondiale dell’acqua e l’Unicef ricorda che entro il 2040 1 bambino su 4 vivrà in zone del pianeta con stress idrico estremamente elevato.

Oggi 3,5 miliardi di persone, la metà della popolazione mondiale, soffrono di grave penuria idrica per almeno un mese all’anno, mentre per 2 miliardi tale carenza si estende per almeno 6 mesi su 12. Altro che buone pratiche da mettere in atto per evitare la diffusione del virus. Andatelo a raccontare a Idlib, a Mytilene, nei campi in Libano o a Tripoli di usare acqua corrente e sapone.

Il Consiglio ecumenico delle chiese (Cec) ha ricordato come «Lavarsi semplicemente le mani non è possibile per milioni di persone. Milioni di bambini non hanno accesso all’acqua potabile per dissetarsi, tantomeno per potersi lavare in piena sicurezza igienica». 

Andrà tutto bene. Certamente per noi, non certo per molti altri.