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Quando l’informazione di qualità è necessaria

 

Silvia Garbarino, giornalista de La Stampa e segretaria dell’Associazione stampa Subalpina (il sindacato dei giornalisti piemontesi), in questi giorni non si è mai fermata, anzi, il suo lavoro è aumentato perché la crisi del settore editoriale, con l’arrivo del Coronavirus, sta attraversando nuove criticità e ha imposto tutele sanitarie e differenti modalità lavorative.

«Il sindacato– dice Silvia Garbarino a Riforma.it/Articolo21 – è impegnato su più fronti. Da una parte c’è l’emergenza occupazionale del quotidiano La Stampa (Gruppo Gedi), una débâcle resasi ancor più acuta per l’effetto Coronavirus (altro fonte d’impegno del sindacato in questi giorni – afferma la segretaria –) e dall’altra c’è l’impegno consueto della Subalpina profuso a tutela delle giornaliste e dei giornalisti proprio per rispondere agli effetti di una crisi editoriale senza precedenti, e che in questi ultimi anni sta colpendo indistintamente tutta la categoria: dalla stampa ai quotidiani; dalle emittenti radio e televisive private al servizio pubblico. Una crisi che si “accanisce” in particolar modo nei confronti di colleghe e colleghi free lance».

Partiamo dall’attualità più stretta, l’emergenza Coronavirus.

«Stiamo facendo tutto il possibile per informare i colleghi sulle necessarie misure di prevenzione da adottare e abbiamo diramato una circolare dettagliata. Purtroppo, abbiamo riscontrato in molte aziende editoriali anche molti ritardi in questa direzione. Da quando si è resa palese la pericolosità del virus è stato privilegiato, come caldeggiato anche dal governo, lo smart working. Una soluzione lavorativa che, se da una parte mira a tutelare l’incolumità dei giornalisti, dall’altra rischia di diventare un’alternativa pericolosa quando ritorneremo alla normalità».

Perché?

«Il rischio è una probabile legittimazione del mantenimento nelle redazioni di collaboratori e non di regolari professionisti. Collaborazioni, dunque, non più assunzioni, forma lavorativa da sempre sottopagata. Riteniamo, poi, che il contatto diretto tra i colleghi nelle redazioni sia uno stimolo, come lo sia lo scambio diretto di opinioni, di idee, di riflessioni e di informazioni, che sono il sale del nostro lavoro. E che sia necessario inviare i giornalisti fuori dalle redazioni – per andare a cercare e verificare le notizie – per (ri)portarle in sede redazionale».

Molti giornalisti in queste ore stanno realizzando servizi in luoghi a rischio virus, come gli ospedali, e lo fanno per raccontare storie e incontrare pazienti e far conoscere l’incessante impegno di medici e infermieri; raggiungendo zone rosse, case per anziani, presidi sanitari…

«Siamo orgogliosi della nostra professione. Queste giornaliste e giornalisti sanno che il nostro mestiere prevede anche dei rischi. Informano perché sono convinti, eticamente convinti, che sia un dovere informare e un diritto dei cittadini poter essere informati. Per questo, temiamo, e non mai lo vorremmo, che l’attuale situazione di emergenza possa portare, passata la tempesta, a ulteriori tagli nelle redazioni e tra i poligrafici.

Soprattutto oggi, l’informazione è considerata “un bene comune”.

«Certo. Non a caso nelle edicole e grazie allo sforzo dei nostri colleghi spesso costretti a lavorare in condizioni difficili è possibile reperire i giornali, malgrado la situazione. Purtroppo, già in formato ridotto».

I Quotidiani si vendono, lo dicono in dati. Sarebbe più comodo, viste anche le restrizioni degli spostamenti, cercare informazioni sul web …

«Sì, è un dato che conforta. Anche se questo periodo è difficile, dev’essere vissuto come un’opportunità per la nostra professione. Sul web girano molte false notizie (fake news) e vi è la necessità di poter fruire invece di informazioni vere; di ascoltare notizie utili, pratiche, di capire qualcosa di più di cosa sta accadendo e lo si può fare grazie agli approfondimenti contenute nei quotidiani. Il ruolo del giornalista è importante perché filtra le notizie, le controlla – rispettando la deontologia professionale -, ne verifica le fonti e fornisce un’importante garanzia di qualità al lettore, radio-ascoltatore, tele-spettatotre».

E per tornare ai freelance – i colleghi oggi maggiormente colpiti dalla crisi, i meno tutelati e i più esposti – come si sta muovendo la Subalpina?

«Abbiamo a cuore e ben presente il problema dei freelance. Il decreto “Cura Italia” (varato dal governo lo scorso 16 marzo, ndr) ha previsto un indennizzo fino a 600 euro su base mensile per partite Iva e co.co.co., che afferiscono all’Inps e ha, invece, ha demandato a un “Fondo ultima istanza” l’indennizzo di tutti i liberi professionisti iscritti alle casse professionali private (giornalisti, architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, ndr). Un fondo da 300 milioni di euro che “dovrebbe” garantire misure di sostegno al reddito per lavoratori dipendenti e autonomi e professionisti che hanno cessato, ridotto o sospeso, la loro attività o il rapporto di lavoro a causa dell’epidemia di Coronavirus.

Non è una buona notizia?

«No, in realtà questa scelta ci preoccupa. I meccanismi di funzionamento del “Fondo” non sono ancora noti. Bisognerà attendere un apposito decreto del Ministero del Lavoro nei prossimi giorni. Per ora non vi sono certezze e molti freelance versano già in gravi difficoltà. Per questo motivo l’Associazione stampa Subalpina ha deciso di creare, con le poche forze che ha a disposizione, un fondo a sostegno dei freelance, per dare un aiuto concreto sin da subito».

L’interlocuzione tra la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e il governo è però costante…

«La corretta informazione – tutta la filiera dell’informazione- ha dimostrato in questi giorni, e dimostra ogni ora di più, di essere un presidio di democrazia e un servizio essenziale per la collettività che non può essere colpito da tagli agli organici e da ulteriori processi di precarizzazione. Attraverso la nostra Federazione della Stampa ci adoperiamo affinché il governo, sin da subito, si faccia carico di adeguati provvedimenti di sostegno al settore, ma anche e soprattutto ai lavoratori autonomi e precari, che sono già i più colpiti sotto il profilo economico».