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Un tempo di preparazione

Siamo nel deserto.

Con l’evangelo di Matteo 4, 1-11 inizia il periodo della Passione. Domenica 1° marzo, la prima domenica nella quale abbiamo dovuto chiudere le porte della chiesa, è stata anche la prima del periodo di preparazione alla Pasqua. Questo evangelo delle tentazioni nel deserto è il punto di partenza e d’arrivo dello studio biblico sul Deuteronomio che si sta svolgendo nella chiesa valdese di Bergamo. Forse è anche il fondamento sul quale camminare in questo tempo di sfida virale. La nostra “piattaforma” su cui rimanere uniti in Cristo, nella solitudine.

Siamo nel deserto.

Il pane quotidiano, il tempio (le attività ecclesiastiche) e il monte (le nostre possibilità nel mondo) si sono improvvisamente trasformati, sono diventati virtuali. C’è ora un tempo in cui imparare a rinunciare. Le chiese protestanti d’Oltralpe propongono da molti anni di vivere il tempo della Passione secondo il motto «Sette settimane senza», invitando i fedeli a rinunciare a qualcosa che ci sta veramente a cuore. Sì, forse è un tempo da cogliere nella sua particolarità, da accettare come sfida: Gesù è lì, da solo, e si limita a poche parole, tre versetti del Deuteronomio (Deut. 8, 3; 6, 16; 6, 13). E basta.

Siamo nel deserto.

E dobbiamo imparare a resistere alla tentazione del potere miracolistico, religioso e mondano. Re-sistere. Mentre non possiamo più di tanto e-sistere, cioè stare fuori, dobbiamo ora stare dentro e re-sistere. Siamo chiamati a un amore per il prossimo del tutto particolare, direi sub contraria specie: se prima, per dimostrare il nostro amore l’abbiamo incontrato e abbracciato, ora ci dimostriamo amore se non ci incontriamo e non ci abbracciamo. Questo ci insegna la relatività di ogni cosa, anche del nostro amare. Se prima qualcuna delle nostre chiese ha ancora ritenuto di dare un segno di speranza lasciando aperte le porte del tempio per il culto, lo stesso gesto è diventato segno di incoscienza e di sopravvalutazione di sé stessi. C’è la tentazione di voler emergere in questo tempo, in fondo, di approfittare di questa situazione per ampliare le proprie possibilità (il proprio potere) religiose e mondane. Ho molto apprezzato il “profilo basso” tenuto dalla chiesa cattolica in questo periodo. Dobbiamo stare in guardia contro la tentazione settaria di voler approfittare di un momento di debolezza per lanciare la nostra – a questo punto lo sarebbe – propaganda. Ce l’aveva inculcato il pastore Bonhoeffer, che ci ha altrettanto insegnato l’importanza dello stare da soli: solo chi sa stare “da solo” sa anche stare nella comunione, e viceversa. La comunione – stiamo sperimentando in questi giorni – è qualcosa di molto delicato, prezioso, incominciamo a provare desiderio nei suoi confronti.

Siamo nel deserto.

E in questo deserto non siamo soli, c’è il nostro fedele Gesù. E con lui e come lui possiamo resistere alla tentazione di voler dimostrare di essere figli di Dio, di essere cristiani, a Dio, agli altri e a noi stessi. In ultima analisi, al diavolo, a colui che fa confusione e ci tenta proprio nella solitudine con il suo comando: «se sei Figlio di Dio, fammelo vedere!». Gesù non è nemmeno sceso dalla croce, quando ancora una volta si faceva sentire la tentazione diabolica: «se sei Figlio di Dio, scendi giù dalla croce!».

Stiamo dunque calmi, sereni, riconoscenti e vicini per chi lotta e soffre in prima linea. Accettiamo questo tempo “senza”, questo digiuno, questo periodo di preparazione alla comunione, alla festa della Risurrezione, per quel che è. Le opere, l’ansia e le agitazioni non ci salvano.