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Stato di confessione o di conversione?

Nell’ambito della discussione sul tema dello “status confessionis”, dopo gli interventi di Bruno Gabrielli e Claudio Pasquet, e dopo aver pubblicato il «Documento di Bangkok», forniamo a lettori e lettrici anche questa riflessione di Sergio Rostagno, che riflette su ciò che lo “status confessionis” rappresentava all’interno della teologia di Lutero.

 

È più che giusto che le chiese si uniscano agli scienziati e a ogni persona di buon senso nel sottolineare la gravità della sofferenza del pianeta terra, che non regge più le attività umane così come sono. Le Chiese non scoprono adesso il problema (adesso che tutti ne parlano finalmente). Sono state tra le prime voci a levarsi, a denunciare il pericolo cui si andava incontro. Inascoltate. Quindi hanno il diritto ora di gridare ancora più forte, per farsi sentire anche da chi ha le orecchie tappate. Del resto, lo stato del pianeta adesso è sotto gli occhi di tutti: andate sulle Alpi, andate in Brasile o in Australia, andate in Africa, cominciate da Venezia, pericolosamente esposta all’acqua. Dunque, sullo status del pianeta e sull’urgenza del pericolo, nulla quaestio (non c’è questione, non si discute). Bisognerebbe dire che siamo irresponsabili, che occorre cambiare rotta al più presto. Questo bisogna confessare. Confessione di peccato, se proprio vogliamo usare queste parole. E necessità di cambiare.

Per Lutero l’unico status confessionis («su tutto il resto si può discutere» – aveva detto) era la differenza tra fede e opere. Lutero respinge con forza il fatto di rendere culto a Dio prescrivendo una legge per l’uomo. Confondere Dio e legge porta a un culto falso e oppressivo. Quando si parla bene di Dio in sede di legge? Quando si parla dell’amore del prossimo. Il criterio viene dalla necessità del prossimo. Noi tutti siamo «il prossimo» in questo caso. Vedi (tra tanti altri) il punto di una sua predica [in calce].

Nel 1933, con l’invasione dello Stato da parte del partito di Hitler in Germania, e il Fascismo in Italia (che lo aveva preceduto), il casus confessionis consisteva anche qui nella differenziazione tra fede e storia, tra la Bekenntnis (in italiano «confessione») e l’evento storico. In questo ci si poteva richiamare appunto alla radicale distinzione di Lutero (cosa oggi forse ignorata o capovolta). La «decisione radicale», che per i filonazisti consisteva in una specie di avanguardismo protestante, per i sostenitori della nozione di chiesa «confessante» consisteva invece nella chiara distinzione tra divino e umano, corrispondente alla distinzione lutheriana tra caritas e fides.  (Che poi, dove c’è distinzione, ci sia anche relazione, non c’è dubbio). 

Se noi vogliamo imparare qualche cosa oggi da questi trascorsi storici, dobbiamo distinguere nozioni diverse. La responsabilità umana verso il prossimo (e siamo tutti prossimo, abbiamo detto) è un conto e ci coinvolge profondamente, ma la fides è un’altra cosa, e Dio non può più essere il nostro «solo rifugio in ogni avversità», se noi lo confondiamo con le nostre opere, se noi lo vogliamo coinvolgere nelle nostre responsabilità umane. Lutero emerse proprio quando denunciò la confusione. Calvino introdusse qualche pensiero originale sulla persona responsabile e sulla reciprocità dei poteri (mutua obligatio), ma lo fece sempre rigorosamente senza perdere di vista ciò che Lutero aveva detto. 

Noi di fronte a Dio siamo sempre nello stato di confessione della fede. Di fronte a Dio si può solo fare come Mosè, cioè togliti i calzari, inginocchiati. Questo è lo status confessionis. Poi, va pure, se Dio te lo comanda, a salvare il suo popolo. Tu Isaia va a profetare per il popolo, ma un angelo deve passare carbone ardente sulle tue labbra. Gesù Cristo deve farsi battezzare nel Giordano prima di cominciare (ed è Gesù Cristo, non un passante qualsiasi). Tutto ciò è sacralità, è principio irrinunciabile. È intoccabile come l’Arca del Patto, accidenti. Qui c’è status confessionis finché si vuole. Non invece nell’esigenza, pure importante, di salvare il pianeta Terra. Qui per cominciare serve cambiare radicalmente modo di vivere; in seguito serve la scienza, la politica, l’essere umano responsabile e magari (ammetto) anche la fede.

Da una predica di Lutero

Circa tutte le leggi [civili], badate a che non siano stabilite, promulgate, usate, a proprio profitto e privilegio, ma soltanto per mettere in atto l’amore, che è anche la retta intenzione della legge, come S. Paolo dice: «chi altri ama, ha adempiuto alla legge». Quindi, quando si vede che la legge non raggiunge il bene del prossimo, ma l’opposto, non le si deve dar corso. Perché una qualunque legge un momento può far bene al prossimo, altre volte danneggiarlo: si deve dunque procedere con il criterio del vantaggio del prossimo. E lo stesso dicasi per quanto concerne norme relative al vestire o a altri bisogni del corpo umano. In tal caso non devo guardare al vestito o a cosa si può mangiare, ma soltanto all’utile e al bisogno del prossimo, il quale dev’essere nutrito e vestito, e che io piuttosto smetta di mangiare e vestirmi, dove vedo che il prossimo non riesce più a farcela in un senso o nell’altro.  

(Quaresima 1525)