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1.000 giorni in chiesa: la lunga attesa di una migrante “eremita” suo malgrado

Quando Rosa Sabido messicana, è entrata per la prima volta nella Chiesa metodista unita di Mancos, in Colorado, più di 1.000 giorni fa, si aspettava di rimanervi per alcune settimane al massimo. Ma, vedendo prolungarsi di anni la lotta per la sua residenza legale negli Stati Uniti, ha deciso di non arrendersi e di rimanere a vivere in chiesa in un “esilio” personale da cui combattere. Irregolare, aveva da poco varcato in maniera clandestina il confine fra Messico e Stati Uniti, dopo decenni di tentativi di ottenre la cittadinanza, quando per non rischiare di venire immediatamente rispedita indietro ha scelto di trovare rifugio in chiesa, luogo che la forza dell’ordine non può violare.

La sua decisione ha attirato l’attenzione dei media statunitensi e internazionali, dando all’”eremita” un’opportunità di essere portavoce di se stessa e della comunità di immigrati. «Se le persone come me non prendono posizione e parlano anche per gli altri, nulla cambierà», ha detto Sabido.

Sabido segnerà il suo 1000 ° giorno di permanenza giovedì 6 marzo, secondo quanto riferito da un gruppo di sostenitori che si definiscono “Rosa Belongs Here” (Rosa appartiene a questo posto). Il gruppo terrà una veglia e consegnerà una petizione all’ufficio del rappresentante americano Scott Tipton di Durango (Colorado). La petizione, con 2.712 firme raccolte a partire da venerdì scorso, richiede a Tipton di sponsorizzare un disegno di legge che consentirebbe a Sabido di continuare a seguire un percorso legale verso il soggiorno negli Stati Uniti.

La lotta per rimanere negli States ha lasciato a Sabido lunghe giornate da riempire. Ci sono momenti in cui afferma di passare ore al computer, isolandosi in se stessa. Combatte anche con la depressione, e l’esilio forzato la costringe a mancare grandi eventi nella sua vita, come la morte di sua madre. «Mi sento come se fossi morta, come se fossi scomparsa dalla faccia della Terra», ha detto. La natura “surreale” della sua vita le ha impedito di iniziare il processo di lutto per sua madre, ha detto.

Per superare ciò che lei descrive come un “esilio”, Rosa lavora per dare un ritmo ai suoi giorni e alle sue settimane, cucinando, imparando a bordare, trapuntare e suonare la batteria grazie ai numerosi gruppi che si incontrano in chiesa. Per lei è stata una decisione intenzionale dire “sì” all’opportunità di apprendere nuove capacità mentre vive in chiesa.

Sabido trova anche conforto nel parlare, una volta alla settimana tramite video chat, con altri immigrati che vivono in condizioni come la sua. «Mi aiuta ad essere umile e comprensiva», ha detto. Alcuni di quegli immigrati si trovano ad affrontare situazioni ancora più difficili perché non parlano inglese o hanno relazioni difficili con le chiese che offrono rifugio. Ad alcuni di loro, per esempio, vengono trattenute la posta e le donazioni, oppure non hanno assistenza per il loro caso di immigrazione, ha detto Sabido. Le situazioni sono complesse.

Sono centinaia le persone negli Stati Uniti costrette a nascondersi fra le mura di chiese e templi, ospitate da generose comunità.

Nelle stesse ore si è sbloccata un’analoga situazione, che riguarda un’altra donna migrante, Rosa del Carmen Cruz, da due anni ospite della chiesa mennonita “Della riconciliazione” in North Carolina.

Ortez Cruz è fuggita dall’Honduras verso gli Stati Uniti nel 2002, dopo che il suo compagno, il padre del suo primo figlio, l’ha pugnalata più volte nello stomaco. La Church of Reconciliation e la Chapel Hill Mennonite Fellowship – entrambe si incontrano nello stesso edificio – le hanno offerto rifugio dalla deportazione immediata 22 mesi fa.

Ortez Cruz non aveva ottenuto le credenziali per richiedere asilo perché aveva aspettato troppo tempo dopo aver attraversato il confine degli Stati Uniti per presentare un reclamo. Ma ha sostenuto che non può tornare in Honduras, poiché teme che il suo ex partner possa ucciderla. Ora il tribunale federale ha concesso una sospensione dell’ordine di espulsione.

Storie di grande generosità da parte delle comunità di fede che prendono il via negli anni ’80 del secolo scorso: il Sanctuary Movement negli Stati Uniti era nato per dare accoglienza alle centinaia di migliaia di profughi in fuga dalle guerre civili di Panama, Nicaragua, El Salvador, Guatemala, inseguiti dal governo di Washington perché sospettati di terrorismo senza alcuna prova. Più di duecento chiese e sinagoghe vennero aperti ai rifugiati, 8 fra i leader del movimento vennero arrestati, ma i rifugiati trovarono infine asilo e lavoro negli Usa e le polemiche si placarono. Da allora il movimento si è rinnovato a più riprese e a ripreso estremo vigore negli ultimi anni di fronte alle politiche di chiusura sempre più marcata da parte dell’amministrazione Trump.