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Svizzera. Basta con il “reato di solidarietà”?

La controversa questione del “reato di solidarietà” ha coinvolto negli ultimi anni diversi paesi, con casi giudiziari che hanno dell’assurdo: uomini anziani, donne, ministri di culto sotto processo per avere soccorso persone migranti nel difficile passaggio di un confine o averli aiutati dopo aver visto respinta la loro domanda di asilo. Tra i casi più paradossali, quello che ha coinvolto cittadini e attivisti a Briançon, mandati a processo (ne avevamo parlato qui) e un anno dopo premiati dal Ministero della Giustizia francese con il Premio per i Diritti Umani (qui). E il Paese ha cambiato la sua politica nel 2018, dopo la loro vittoria in tribunale, stabilendo che «l’aiuto disinteressato al soggiorno irregolare non è passibile di conseguenze giuridiche» (qui).

Anche l’Italia non scherza, alle prese con il garbuglio dei Decreti Sicurezza, ma qualcuno punta il dito in particolare sulla Svizzera: Pablo Cruchon di Amnesty International in un articolo di protestInfo, dice che «è un modello di repressione a livello europeo. In Francia, Germania, Italia, Austria, Paesi Bassi, Lussemburgo, Svezia, Portogallo, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, Malta e Cipro, le leggi prevedono l’esenzione dalla pena in caso di motivazione umanitaria, per quanto concerne l’aiuto al soggiorno irregolare. In Irlanda, questo tipo di aiuto non è nemmeno sanzionabile».

Fra pochi giorni Amnesty International diffonderà un rapporto che descrive la situazione dei vari paesi europei rispetto al concetto di “delitto di solidarietà”, e non è un mistero che la legislazione elvetica sia particolarmente severa.

A essere sotto accusa è soprattutto l’articolo 116 della “Legge sugli stranieri e l’integrazione” (Lei), entrata in vigore nel 2008, il cui primo comma recita: «è punito con una pena detentiva sino a un anno o con una pena pecuniaria chiunque, in Svizzera o all’estero, facilita o aiuta a preparare l’entrata, la partenza o il soggiorno illegali di uno straniero».

Tra le vittime di questa legge, più note mediaticamente, c’è il pastore Norbert Valley, che fra un paio di settimane affronterà l’udienza al tribunale di Neuchâtel, a cui ha fatto ricorso dopo la condanna nel 2018 per avere «favorito il soggiorno illegale di un cittadino togolese offrendogli in più occasioni vitto e alloggio». Valley aveva prestato assistenza a un membro della comunità cui era appena stata respinta la domanda di asilo, e che quindi si trovava in una situazione molto difficile, e si è dichiarato disposto ad appellarsi fino alla Corte europea dei diritti umani.

A partire dalla condanna del pastore, la società civile e la politica si sono mobilitate per abrogare l’articolo 116 e una iniziativa parlamentare, che sarà esaminata proprio nel mese di marzo, è stata depositata dalla consigliera ginevrina dei Verdi Lisa Mazzone, convinta (si legge ancora su Protestinfo) che «la solidarietà è il principio basilare di una società [e che] oggi è criminalizzata».

Nelle intenzioni dei legislatori, l’articolo 116 ha la finalità di sanzionare i cosiddetti “passeurs”, chi approfitta della condizione di vulnerabilità dei migranti. Nel 2018, ben 972 persone sono state condannate (erano 785 l’anno precedente) di cui 32 secondo il comma 3, che condanna l’arricchimento personale: pochissimi hanno fatto appello, anche perché affrontare un processo è molto costoso, infatti il pastore Norbert Valley ha potuto farlo con il sostegno di Amnesty International e di comunità religiose. Gli altri, anche per timore di ritorsioni, si tengono questa accusa, tanto più pesante se si considerano le motivazioni che, salvo prova contraria, li hanno mossi.