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Una lotta tutt’altro che silenziosa

Patrick George Zaki è uno studente di nazionalità egiziana di 27 anni che dallo scorso agosto sta studiando per un dottorato all’Università di Bologna. Sabato 8 febbraio 2020 un’associazione che si occupa di diritti umani in Egitto ha dato la notizia del suo arresto senza apparenti motivi all’aeroporto del Cairo, in Egitto. Da lì lo studente è stato trattenuto per ore, interrogato, torturato e incriminato. Una storia che ha coinvolto immediatamente organizzazioni internazionali, attivisti e politici sia egiziani che italiani. Una storia troppo simile a quella di un altro ragazzo, per cui si auspica un finale completamente diverso.

La ricerca della verità
«Chiediamo una verità processuale nei confronti di chi ha deciso sul destino della sua vita, di chi lo ha torturato, chi ha sviato le indagini, chi ha permesso e permette tutto ciò. Su Giulio sono stati violati tutti i diritti umani, compreso il diritto di tutti noi ad avere la verità». Senza giri di parole e con una dignità pari a quella di altri parenti che hanno iniziato a “sacrificare” la propria vita per la verità sulla morte dei propri cari – tra i tanti si annoverano Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Carolina Orlandi – i genitori del giovane friulano recatosi al Cairo per preparare la tesi e mai tornato in vita, si sono esposti in prima linea lasciando un altro segno nel percorso alla ricerca della verità.

Un figlio, uno studente, un ragazzo
Nato a Trieste, cresciuto a Fiumicello, Regeni conseguì la laurea in Inghilterra e a seguito di un master ottenne un prestigioso dottorato in corso a Cambridge. Recatosi al Cairo per realizzare una tesi sugli aspetti socio-economici del Paese nord africano scompare nella capitale il 25 gennaio 2016.
Ore, giorni infiniti di tensione e di preoccupazione surreale per la famiglia Regeni. Di un figlio, di uno studente e di un ragazzo scomparso in concomitanza del quinto anniversario delle proteste di una primavera araba ormai lontana, tutto quello che si viene a sapere poi si riesce a “leggere” solo sul corpo giovane di un ragazzo che non potrà più studiare, amare e diventare adulto. Rapimento, torture e uccisione. Il suo corpo viene ritrovato il 3 febbraio 2016 nei pressi di una prigione dei servizi segreti egiziani. Da allora continui depistamenti da parte delle parti interessate e alcun tipo di collaborazione né dall’Italia né dall’Egitto; tutte dimostrazioni che lasciano amarezza e troppe, troppe domande.

L’onda gialla
“Verità per Giulio Regeni” è diventato un desiderio collettivo ancora prima di essere un messaggio affisso, tramite striscioni gialli riconoscibili e d’impatto, fuori dai principali comuni del Paese, dalle università e dai musei. Verità e giustizia chieste non solo da parte di Regeni e Deffendi i genitori di Giulio, con il prezioso appoggio dell’avvocato Alessandra Ballerini; ma da parte di una vera e propria ondata che ha parlato e parla di Giulio, ne indossa i braccialetti e le maglie ma cosa più importante ne porta la voce. Un ragazzo come tanti, un cittadino italiano ed europeo con un percorso personale e accademico simile a quello di tanti altri, che da un momento all’altro – solo per la colpa di lavorare su una tematica come le politiche sindacali in un Paese come l’Egitto – ha pagato il prezzo della vita. Una vita troppo simile a quella di tanti altri per essere ignorata, per non venire rivendicata nel nome della verità, di una giustizia prima di tutto istituzionale e anche umana.

Giulio fa cose, Paolo Regeni, Giulia Deffendi, Alessandra Ballarini, Feltrinelli, 224 p., 16 euro