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Un Paese senza figli

L’inizio dell’anno nuovo ha portato con sé nuovi aggiornamenti sullo stato della natalità in Italia. 116 mila italiani in meno rispetto al 2019. Un calo che rispetto ai 60 milioni e 300 mila abitanti è sensibile e preoccupante viste le sue cause: le nascite in Italia sono state 435 mila contro i 647 mila decessi. Un livello di “ricambio” bassissimo, tanto da segnare un record che non si sfiorava dal 1918. Ogni 100 italiani che muoiono ne nascono solo 67, nel 2010 erano 96.

Numeri e dati che raccontano la realtà.
Il calo di nascite è stato registrato maggiormente nel Mezzogiorno e al Centro mentre al Nord Italia, con Emilia Romagna, Trentino e Lombardia, le crescite mantengono ancora un buon ritmo. Ma se la situazione da regione a regione varia, nel complesso quello italiano continua ad essere un Paese anziano, in cui l’età media nel 2020 si alza nuovamente a 45,7 anni.

L’Italia è fatta di famiglie
I dati messi in circolazione dall’ISTAT hanno scatenato sia nell’opinione pubblica che ai vertici politici molte dichiarazioni e la nascita di ulteriori dibattiti. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha posto la questione della natalità al centro dell’analisi critica che investe il Paese. «Con l’abbassamento di natalità vi è un abbassamento del numero delle famiglie» e ciò può solo comportare a un ulteriore colpo basso per l’Italia e la sua popolazione.
Non solo numeri ma anche un’idea di Paese che cambia drasticamente e che obbliga a una riflessione più profonda e sentita sul futuro del tessuto sociale e delle svariate conseguenze economiche, politiche, di sviluppo sociale e umane. «Le famiglie sono l’Italia» dichiara ancora il presidente della Repubblica «perché l’Italia non è fatta solo dalle istituzioni ma dai suoi cittadini, dalle persone che ci vivono».

Famiglie in fuga
Il problema reale si manifesta e si trasforma in gravoso quando a “sparire” sono proprio questi cittadini, queste persone che ci vivono. In dieci anni quasi 500 mila italiani se ne sono andati, e tra questi quasi 250 mila giovani dai 14 ai 34 anni hanno lasciato il Paese per sopperire alle possibilità lavorative del Paese. Una fuga che secondo un calcolo effettuato nel 2019 dalla Fondazione Leone Moressa è costato all’Italia 16 miliardi di euro; l’equivalente del valore aggiunto che questi stessi giovani emigrati potrebbero apportare sul territorio se avessero la possibilità di trovare un’occupazione.

Giovani senza speranza
La questione occupazionale è solo uno dei punti specifici e imponenti che toccano il problema della denatalità italiana. Un processo così gravoso per il Paese vede le sue origini all’interno di un sistema che non agevola in alcun modo i giovani. La fascia 20-35 anni si ritrova ad affrontare una situazione non solo di disoccupazione ma anche di precarietà costante e di mancanza totale di agevolazioni. I giovani italiani sono consapevoli che mettere al mondo un altro essere umano al di là dell’amore comporta a una serie di responsabilità economiche e pratiche gravose che non si è in grado di permettersi. Beni di prima necessità, tasse, istruzione e tutto ciò che riguarda la crescita di un figlio sono spese che superano di gran lunga le possibilità che un lavoro non stabile o a tempo determinato possono offrire. In aggiunta, le giovani italiane sono ben coscienti della scelta che un sistema e una realtà profondamente sessista e discriminante le obbliga a prendere nel momento in cui potrebbe arrivare il desiderio di crearsi una famiglia.

Se da un lato la problematica legata alla natalità italiana si sta facendo sempre più pressante costringendo l’Italia intera a chiedersi quale sarà il suo futuro, le condizioni attuali in cui riversano i suoi giovani vengono troppo spesso ignorate. E la domanda automatica allora risulta essere: se oggi tutti si preoccupano del futuro del Paese, chi è che pensa al presente?