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La Casa Internazionale delle donne è ancora in pericolo

Ancora una battuta a vuoto per il salvataggio della Casa Internazionale delle donne di Roma. Nella giornata di lunedì 10 febbraio, infatti, la proposta del Partito Democratico e di Italia Viva per assegnare un finanziamento da 900.000 euro nel 2020 per la storica struttura antiviolenza è stata dichiarata inammissibile. Si tratta della seconda bocciatura per questo tentativo di colmare il debito che la Casa ha nei confronti del Comune di Roma. A questo punto, il destino di questo spazio protetto è sempre più in bilico.

La Casa internazionale delle Donne di Roma si trova nel complesso monumentale del “Buon pastore” a Trastevere, usato fin dal Seicento come reclusorio femminile. Nei primi anni ’80 l’edificio viene destinato a finalità sociali, «con particolare riguardo alla cittadinanza femminile».

A quel punto, nel 1987, venne rivendicato dal movimento femminista romano che nel frattempo aveva subito lo sfratto da un’altra casa, la Casa delle Donne in via del Governo Vecchio, i cui spazi sono ancora oggi inutilizzati. Le femministe all’epoca occuparono lo stabile in via della Lungara, dove attualmente hanno sede diverse associazioni che si occupano appunto dei diritti delle donne, compresa l’associazione Di.Re. – Donne in rete contro la violenza. Dopo cinque anni di trattative, il progetto venne elencato tra le opere di Roma Capitale e approvato dal Comune. Oggi è un luogo importante non solo dal punto di vista simbolico, ma, come racconta Antonella Veltri, presidente di Di.Re., «è un luogo nel quale si ritrovano diverse associazioni che lavorano non solo per l’affermazione dei diritti ma anche in difesa delle donne che subiscono violenza», offrendo sportelli informativi e sociali, di assistenza legale, medica e psicologica ma anche lavorativa nel cuore di Roma.

Il consorzio Casa internazionale delle Donne dovrebbe pagare al comune di Roma un affitto di oltre 7.300 euro al mese, a cui non riesce a fare fronte anche per via della sua natura di rete di associazioni di volontariato sociale. Il debito totale, a fine 2019, è superiore ai 900.000 euro. Tuttavia, in accordo con il Comune di Roma la Casa versa da due anni 2.500 euro al mese come acconto spese di gestione, e secondo la valutazione fatta dagli uffici tecnici dell’assessorato al Patrimonio del comune di Roma, la Casa offre gratuitamente al territorio servizi per un valore di circa 700mila euro l’anno. «Sono servizi – continua Veltri – che per la cittadinanza romana rappresentano un presidio dei diritti di tutti e di tutta la cittadinanza, non solo romana ma, come dice il nome stesso, a livello internazionale». Eppure il debito è ancora lì, in costante crescita.

L’unica strada percorribile per salvare uno spazio come questo è politica, eppure non ci sono progressi. «C’è stato un gioco abbastanza disturbante – racconta la presidente di Di.Re. – per quanto riguarda il riconoscimento che la Casa stessa ha fatto nel corso degli ultimi due anni per cercare di assolvere al debito, c’è stato un brutto gioco da più parti. Da un lato la stessa sindaca che twitta dicendo “abbiamo risolto tutto, state tranquilli e andiamo avanti”, cosa non vera perché nel frattempo l’emendamento veniva bocciato, dall’altro Giorgia Meloni che esultava per aver contribuito alla bocciatura». Dietro a questa polemica, l’interpretazione della destra romana, secondo cui la Casa delle Donne sarebbe una “associazione di sinistra”, e quindi al centro di un tentativo di ottenere voti. Che cosa attendersi, quindi? «Le donne – conclude Antonella Veltri – torneranno in piazza per rivendicare un diritto che è stato violato, così come quello che riguarda la Casa di Lucha y Siesta, un’altra realtà importantissima romana, ancora una volta messa in difficoltà in maniera preoccupante per poter abitare uno spazio che attualmente accoglie le donne che subiscono violenza nella città di Roma. Siamo in una situazione in cui la politica, anziché assumersi la responsabilità di affrontare con coscienza e volontà i problemi della comunità, si rimbalza da una parte e dall’altra mettendo o togliendo stellette sulla risoluzione dei problemi».

Eppure, la protezione dalla violenza di genere, che sia domestica o in altro contesto, non può essere una questione di schieramento, così come non è neppure una questione soltanto femminile, bensì un fatto di pubblico interesse, addirittura un metro del livello civile di un Paese. Il quadro che viene offerto oggi, a questo proposito, è desolante.