eqaaicqxyaap2cm

Sugli Oscar 2020 e sulla diversità

Il trionfo agli Oscar 2020 di Bong Joon Ho viene da lontano. La lunga marcia del cinema sudcoreano dura da circa vent’anni, riuscendo a imporsi in un mercato dominato dalle produzioni in lingua inglese, con film d’impatto visivo ed emotivo, che siano delicati e profondi come quelli del grandissimo Kim Ki-Duk (tra gli altri, “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”, 2003) o estremamente violenti come quelli di Park Chan-wook, autore della Trilogia della Vendetta (“Mr. Vendetta”, “Old Boy” e “Lady Vendetta”, 2002-2005). La Corea del Sud ci ha abituato in un tempo relativamente breve a grande qualità e originalità.

“Parasite” di Bong è riuscito a dominare la stagione per un periodo lunghissimo, circa dieci mesi, sin dal trionfo nel Festival di Cannes nel maggio scorso e a nulla sono serviti i tre mesi (comunque tanti) di esaltazione del Leone d’Oro “Joker”. Neanche i due prodotti classici molto belli e ambiziosi “The Irishman” e “C’era una volta a…Hollywood” dei maestri Scorsese e Tarantino sono riusciti a scalfire il dominio di “Parasite”, di un film che nella maggior parte dei paesi (Usa compresi) viene visto in coreano coi sottotitoli. In un’epoca di fast food, di cotto e mangiato, di celebrità pseudowarholiane inferiori ai 15 minuti, Bong ha mostrato che si può andare contro le tendenze, si può fare qualcosa contro le aspettative, si può determinare e non essere determinati. Il destino non esiste, le cose non devono andare necessariamente secondo inerzia: una lezione morale anche per chi vede nella politica un piano inclinato che va in maniera irresistibile verso il peggio.

Tuttavia leggo commenti trionfali su come, alla fine, gli Oscar non siano stati “così bianchi” (la celebre polemica #OscarSoWhite) e che la diversità sia stata premiata.

È vero. La diversità è stata premiata, ma altrove, o peggio “a casa loro”.

La tristezza della società contemporanea americana (e non solo) è che, se prende sempre più consapevolezza dell’esistenza di altri paesi, altre lingue e culture, allo stesso tempo, rifiuta di accettare il proprio maggior talento: il meltin’ pot originale e unico di discendenti di immigrati che crea la “Our Nation“, la nazione sognata dai padri costituenti, fondata sul patto e non sul sangue.

Pertanto, in quest’ottica, bene, benissimo premiare l’asiatico Bong, ma gli asiatici-americani hanno poi piena cittadinanza culturale in patria? L’immagine dell’afro-americano Spike Lee, maestro assoluto di cinema, largamente ignorato dall’Academy, che consegna l’Oscar a Bong è emblematica: Lee ha vinto solo un premio alla carriera nel 2016 e quello per la sceneggiatura non originale l’anno scorso. In una sola sera Bong vince personalmente quattro Oscar. La storia non si fa con i “se”, ma se Bong fosse stato figlio di immigrati coreani negli Usa, quante chance avrebbe avuto di arrivare a tanto? Non lo sappiamo né lo sapremo mai, ma sappiamo che nessuno americano di origine asiatica ha mai vinto quattro Oscar principali in una sera né in un’intera carriera (il taiwanese Ang Lee ne ha vinti tre in tredici anni).

Non è solo una questione di appartenenza etnica, ma anche di genere. Non c’è ruolo più maschile del regista nel cinema, anche perché molti uomini non sono stati educati da accettare che una donna sia al comando. La prima regista candidata all’Oscar fu l’italiana Lina Wertmüller (“Pasqualino Settebellezze”, 1977), ben 33 anni prima che l’americana Katryn Bigelow si aggiudicasse la statuetta per “The Hurt Locker”, prima donna a vincere in quella categoria.
Il messaggio sembra essere: bene le donne registe, ma se vanno avanti prima da un’altra parte, meglio, no?

In conclusione, bene, benissimo accorgersi di non essere soli al mondo, ma ogni paese deve riconoscere il valore delle diversità e delle minoranze che compongono la propria società.

Questo vale per gli Stati Uniti e vale anche per l’Italia, dove un protestante, un ebreo o un islamico italiano sono considerati ancora da molti come stranieri/estranei. Faccio finta di non accorgermene, ma sono consapevole del sollievo che dà all’interlocutore (anche il più innocente e amichevole) il fatto che mia madre fosse irlandese.

«Ma tu non sei del tutto italiano, vero?».

Foto: Spike Lee e Bong Joon Ho sul palco della notte degli oscar