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Milano-Malmö, andata e ritorno

C’è chi conosce Malmö perché è la città di Ibrahimovic, c’è chi se la ricorda per i gialli di Mankell.

Questa città nel profondo sud della Svezia per me sarà sempre il luogo che ha accolto a fine gennaio [dal 27 al 30 gennaio, qui l’articolo che anticipava questa esperienza, ndr] un bellissimo incontro europeo organizzato dalla chiesa di Svezia su Europa e migrazione. Eravamo in 75 da 15 paesi diversi, due dall’Italia, io come rappresentante delle chiese protestanti e fr. Mussie Zerai, sacerdote responsabile per gli eritrei cattolici in Europa e noto attivista a favore dei migranti.

I partecipanti erano suddivisi in 8 gruppi: attivisti-persone che praticano, giovani, leader religiosi, persone impegnate nelle ong o in comunità religiose, persone con esperienza di migrazione e/o di minoranza, altri ancora con impegni politici oppure impegnati come giornalisti e infine persone coinvolte nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso.

Come pastora di una chiesa locale interculturale a Milano mi avevano inserita tra gli attivisti.

Vi erano momenti in cui dovevamo confrontarci all’interno del nostro gruppo, altre sezioni dovevano essere gestite da gruppi misti. Tutti insieme eravamo coinvolti in un “future search gathering”, in una “conferenza futuro” che aveva come scopo quello di sviluppare nuove idee, nuove azioni per riuscire, come europei, a “Mantenere la nostra umanità: perché eravamo stranieri…”. 

Per essere in grado di elaborare dei passi concreti nella giusta direzione era necessario riflettere sul passato e sul presente. Che cosa era accaduto in Europa, a livello di migrazione, a partire dalla seconda guerra mondiale? Quali erano stati i momenti ed eventi positivi, quali hanno segnato negativamente? Quali sono le pratiche di buona accoglienza di cui siamo orgogliosi, quali sono i fallimenti e le difficoltà che ci bruciano dentro?

Ho potuto raccontare del nostro progetto Essere Chiesa Insieme e di Mediterranean Hope e dell’accoglienza organizzata dalla Diaconia valdese. Ho incontrato rappresentanti di una organizzazione di minori non accompagnati arrivati in Svezia che hanno creato una bellissima rete di mutuo sostegno, un’artista polacca che con le sue opere cerca di cambiare la percezione così negativa dei migranti nel suo paese. Era con noi il segretario esecutivo della Commissione delle chiese europee per la migrazione (Ccme) il quale ha condiviso con me la speranza che il modello dei corridoi umanitari possa espandersi ancora di più in Europa, anche se in Stati con un forte welfare le chiese tendono a dire che deve essere lo Stato e non la chiesa a organizzare i corridoi e l’accoglienza.

Ho conosciuto un giovane attivista ebreo svizzero che per i prossimi mesi si è impegnato a organizzare cene dello Shabbat interreligiose in giro per l’Europa per fare sì che ci siano sempre più occasioni di conoscenza reciproca e di narrazione diretta su ciò che ci unisce e su ciò che ci differenzia. 

Perché ancora una volta a Malmö è stato evidenziato come il terreno che fa crescere la discriminazione, i populismi e il razzismo sia sempre la paura dell’altro, del diverso che non incontro e non conosco.  

Per rimanere umani e rendere la nostra Europa più accogliente ci è chiesto di mobilizzarci ancora di più. Estremamente importante sarà la narrazione positiva sulla migrazione – siamo davvero pieni di bellissime buone pratiche di convivenza –, ma anche la denuncia della strumentalizzazione della religione a favore di una politica xenofoba.  Siamo chiamati ad agire a livello politico, denunciando regolamenti penalizzanti come quelli che definiscono la solidarietà un crimine e ricordando gli effetti positivi della migrazione anche per la nostra economia. 

E tra un anno ci si incontrerà in Grecia per valutare i passi intrapresi e per provare ad allargare le azioni coinvolgendo maggiormente i leader delle chiese e comunità religiose europee e quelli politici. 

A Malmö è stato molto apprezzato il fatto che io sia arrivata in treno da Milano. Tutti insieme abbiamo provato a dare un contributo concreto per tenere più bassa la nostra emissione di CO2 seguendo un menù vegetariano e il più possibile regionale. E se lo facessimo anche al Sinodo e alle nostre assemblee, ai nostri incontri? 

 

Foto: D. Mack