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Quando l’attesa diventa uno spazio senza colore

Una storia che va avanti da mesi, un inizio che sa di meraviglia e di preoccupazione, un evento che ha messo in gioco un amore fortissimo. Inizia così la storia di un bambino che lotta in una struttura ospedaliera emiliano-romagnola a seguito di una nascita fortemente prematura che ne sta compromettendo gravemente i parametri vitali. Rischia di non farcela questo bambino che a livello medico presenterà una disabilità invalidante. È da questo punto che la scelta dei genitori biologici smette di essere giudicabile; non se la sono sentita e nei dieci giorni previsti dalla legge si sono tirati indietro, non l’hanno riconosciuto e di conseguenza il bambino è stato abbandonato in ospedale. L’importante e gravoso compito degli assistenti sociali e del tribunale dei minori è riuscito ad individuare una coppia consapevole di ciò che andrà incontro ma carica di un impaziente bisogno di darsi e di donare amore. Un amore che aspetta un bambino nato troppo in anticipo ma attaccato alla vita in maniera straordinaria.

Maria ha superato i 40 anni ed è rimasta incinta quando non se lo aspettava nemmeno più, quando non ha neanche le parole per dirlo agli amici, all’amore, ai suoi studenti. È un’insegnante che lavora in sordina ma con passione nelle aule degli istituti che si riempiono di sera per chi deve ancora prendere la terza media nonostante gli anni in più, il lavoro faticoso e le responsabilità.
Una vita normale e sotterranea, un amore per la letteratura e la fiducia sconfinata nelle vite troppo grandi per i banchi davanti ai quali insegna ogni sera sballando i suoi orari pur restando completamente in equilibrio. E proprio in questo ordine tutto personale Maria viene catapultata dentro a un incubo senza nome e senza spazio.

Valeria Parrella (Torre del greco, 1974) narra senza sbavature l’unica sfumatura accessibile di un reparto di neonatologia. Lo spazio bianco è quello di un’attesa che non si sa nominare per l’angoscia e per il peso che trascinano agli inferi chi le vive senza aver regole da seguire per affrontarli, sopravviverli. Maria si ritrova con una figlia che non sa se sta per nascere o per morire e accanto all’incubatrice che la tiene in questo limbo di vita e miracolo, peggioramenti e dolore. Una madre che non sa se è davvero diventata madre, una donna che non comprende dove iniziano i bordi della maternità e dove finiscono le parole della vita che fuori dal padiglione ospedaliero scalpita, va avanti e risucchia.

Vite che vincono, miglioramenti, incontri fatti di compassione, medici che non dicono, relazioni forzate o senza forma, morte certa, fughe e macchine che lampeggiano. È questo il mondo che Parrella descrive e racconta con dignità aggiungendoci vibrazioni lontane che arrivano dall’infanzia napoletana di Maria colma di una storia italiana che conosciamo ma che per ognuno poi ha voci, momenti, strade, nomi diversi. 
Un racconto breve e lunghissimo come il tempo che si dilata fino a sparire trasformando ogni attimo, ogni piccolo gesto in una scoperta infinita, in una vittoria nuova e incredibile.
Lo spazio bianco racconta il mondo delle nascite premature dagli unici occhi da cui non si può scappare, da cui non ci si può salvare. Quelli di una madre che scopre di esserlo in anticipo sui tempi e lo capisce alla fine del primo vero respiro.

Lo spazio bianco, Valeria Parrella, Einaudi , 14,8 euro, 120 pp