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Più giornalisti, meno articoli

«II giornalismo non è morto. Eravamo partiti da un titolo così per il sito, poi qualcuno disse che portava male, che una negazione non funziona, che il pugno nello stomaco va bene, ma insomma. L’idea però resta quella. Mentre tutti (i giornalisti, in particolare) dicono che il giornalismo è morto, noi diciamo di no. Mentre molti sostengono che nell’era digitale non ha più senso una professione (un mestiere) che tutti sono in grado di fare, che non hanno motivo barriere, esami, tesserini che pretendono di limitare dentro un recinto la possibilità e la capacità di raccontare la realtà. Invece, secondo noi, è il contrario. Nel momento in cui l’informazione è ovunque ed è nelle disponibilità di chiunque, c’è ancor più necessità di un’informazione certificata, garantita, efficace e affidabile», scrive Andrea Garibaldi presentando il sito web profesionereporter.eu – associazione, sito on line e una newsletter, con i quali l’iniziativa intende difendere la professione giornalistica e rilanciarla, nell’esclusivo interesse dei cittadini –  e dal quale apprendiamo che esiste anche la formula Le Monde.

«In Italia  – si legge – gli editori sembrano avere come obiettivo-chiave la riduzione del numero dei giornalisti e l’abbattimento dei loro compensi: sono oggi pronti all’assalto dei nuovi prepensionamenti messi a disposizione del governo (con connessa stangata per l’Inpgi)», ossia l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani che vive attualmente gravi difficoltà; pare che i problemi finanziari dell’Inpgi non derivino da una cattiva gestione, ma dagli scarsi ricavi contributivi per via di una sempre minor contrattualizzazione di figure professionali. 

Riccardo Luna su Repubblica.it ha citato il tweet del 20 gennaio 2020 del giovane quarantaseienne direttore di Le Monde Luc Bronner in cui si afferma che «Fra il 2018 e il 2019 le Monde ha ridotto del 14 % il numero di articoli pubblicati. Più giornalisti (quasi 500 ormai), più tempo per indagare. Risultato? L’audience web è nettamente aumentata (più 11 %) come la diffusione (stampa e web) del giornale (più 11 per cento)».

Eppure di giornalisti in Italia ne abbiamo tanti, lo ricorda il sito Stampafinanziaria – media relations citando i dati di una delle maggiori pubblicazioni che raccoglie i contatti dei professionisti della comunicazione operanti nel nostro paese: «L’Agenda del giornalista 2019 ne censisce ben 110.950, oltre a 10.273 addetti stampa. Numeri vicini a quelli dell’Ordine dei giornalisti, che conta 30mila iscritti all’Albo dei professionisti (per i quali la principale attività professionale è di tipo giornalistica) e circa 75mila a quello dei pubblicisti (collaboratori che svolgono altre attività). Secondo l’Osservatorio sul giornalismo, che però ne registra soltanto la metà (60 mila), già sei giornalisti ogni 10 mila abitanti rappresentano quasi un record mondiale e comunque pari a cinque volte la quota statunitense».

I giornalisti italiani lavorano nell’editoria e nella comunicazione avendo a disposizione 6.664 testate registrate – tra periodici e quotidiani, testate specializzate e tecniche, testate regionali, locali e associative, informazione online – 403 emittenti radio e tv e 5.311 uffici stampa, che coprono 80 settori merceologici.

«La crisi però ha lasciato il segno anche nell’editoria, come testimonia l’Inpgi, la cassa previdenziale della categoria che negli ultimi cinque anni ha registrato la perdita di 2.704 posti di lavoro. Lavoro che, anche qui, diventa sempre più parcellizzato: soltanto il 16% circa dei giornalisti italiani (15.876) ha un contratto giornalistico. Tutti gli altri vanno cercati nelle aziende, nella pubblica amministrazione, nelle agenzie di comunicazione, tra i cosiddetti collaboratori freelance e nel variegato popolo delle partite Iva».

Offrire più qualità è stata la scelta controcorrente messa in atto dal quotidiano Le Monde attraverso l’assunzione di più giornalisti. Scelta in controtendenza con quanto fatto in precedenza: ossia pubblicando tanti articoli cavalcando l’idea di arrivare per primi, ma realizzandoli con una cura decisamente indìferior e spesso raccogliendo informazioni online e seduti davanti al pc. 

«I francesi – ricorda ancora Professione Reporter – hanno coniato la parola infobésitél’obesità da informazione.

Le Monde hanno stabilito che il pubblico, un certo pubblico, oggi è stufo. […] E che nel mondo esistono cinque grandi esempi di positiva risposta alla trasformazione accelerata del mondo dei media, e ciascuno di questi esempi ha una diversa strategia».

In Francia, ad esempio c’è Mediapart, testata fondata nel 2010 da cinque giornalisti. Il direttore Edwy Plenel è stato recentemente ospite al Circolo dei lettori di Torino in occasione dell’edizione 2018 del Premio dedicato al giornalismo d’inchiesta «Roberto Morrione», del qualeRiforma è media partner nazionale

La strategia in questo caso è legata agli abbonamenti. La pubblicazione è solo online e l’abbonamento costa 110 euro l’anno. «Sono stati in prima linea sui principali scandali transalpini, Macron-Benalla, Woerth-Bettencourt, l’affare Cahuzac. Nel capitale del sito è presente l’industriale Xavier Niel (uno dei proprietari di Le Monde) e questo – ricorda ancora Professione Reporter – è causa di polemiche riguardo alla presunta indipendenza. Mediapart conta oggi 150 mila abbonamenti e dà lavoro fisso a 87 persone, di cui 47 giornalisti».

Sempre in Francia le Canard PC dedicata ai giochi per computer. Strategia della rivista, la sua prossimità alla comunità di lettori e la raccolta di fondi: «Con due campagne di raccolta fondi Canard ha raccolto 260.000 euro».

L’Huffington Post Francia che, secondo Professione Reporter, ha saputo utilizzare slogan appariscenti realizzando «300mila euro di profitti con 7 milioni di visitatori unici al mese. Completamente gratuito, il sito conta sulla pubblicità e sul brand content, contenuti che valorizzano il marchio. Per attrarre click, la formula Huffington è offrire articoli seri e altri più sensazionalistici».

In Gran Bretagna il The Guardian. «Strategia, la membership. Il The Guardian è gratuito sul web, ma chi vuole può abbonarsi. Per dare l’“adesione” al progetto sono richieste tra le 50 e le 150 sterline all’anno, che danno accesso a differenti opportunità, come articoli “premio” o un accesso a club per abbonati. Inoltre, i lettori possono fare donazioni, a partire da un euro per ciascun articolo. Il The Guardian è passato da 15mila adesioni nel 2016 a 675mila nel maggio 2019, senza contare le 375mila donazioni uniche. L’ultimo bilancio è positivo per 800 mila sterline».

Negli Stati Uniti, infine, c’è il re dell’informazione mondiale, Nyt, The New York Times. «Strategia: paywall intelligente. Nty è arrivato a tre milioni di abbonati paganti online. Dal 2011 ha messo in campo un paywall che ha pian piano ridotto il numero di articoli leggibili gratis. Da venti al mese è arrivato ora a 5 al mese. Si ritiene che il numero di abbonati sia cresciuto grazie anche alla linea di opposizione al presidente Trump. Quando il nuovo presidente arrivò sulla scena nel 2016 il Nyt aveva 1,5 milioni di abbonamenti, dopo due anni sono diventati il doppio».

E in Italia? Nelle calssifiche del sito d’informazione Primaonline.it gli unici quotidiani (nel 2019) in attivo erano Il Sole 24 Ore con un +2,36%; il quotidiano Avvenire con +1,79% e TuttoSport con un pallido +0,28%. In grave perdita La Repubblica -2,96%; il Corriere della Sera con un -1,69%. E La Stampa con un -1,46%. 

«Ricominciare dal piccolo, dall’informazione di prossimità. O meglio, dal piccolo di qualità. E insieme, per fare massa critica», ricorda Nadja Bartolucci su Primaonline nel suo articolo di sintesi dedicato all’incontro promosso dall’Unione stampa periodica italiana, tenutosi l’altro ieri al Senato: «Editoria digitale, numeri e prospettive».

Un incontro nel quale è stato ricordato quanto i grandi editori si siano dimostrati «sino ad ora incapaci di fare gruppo» e stiano, «andando in ordine sparso, connettendosi ciascuno separatamente con le grandi piattaforme del web». Dunque, che è «giunto il tempo di fornire regole sostenibili e certezze alla professione», citando come esempio virtuoso l’accordo Uspi-Fnsi: «Un contratto, quello tra la Federazione nazionale della stampa italiana e l’Unione stampa periodica italiana, innovativo non solo per il settore cartaceo ma anche per l’online. Settore che cresce velocemente».