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Radici dell’antisemitismo teologico, stasera conferenza a Milano

Il 27 gennaio, in occasione della “Giornata della memoria”, si presenta a Milano un corposo volume sull’antisemitismo teologico nell’esegesi biblica tedesca protestante, dopo l’Illuminismo e fino alla Shoah (A. Gerdmar, Bibbia e antisemitismo teologico. L’esegesi biblica tedesca e gli ebrei da Herder a Semler a Kittel e Bultmann, Paideia, Torino 2020, pp. 643 –. L’indagine vuole chiarire come importanti esponenti di varie correnti teologiche hanno parlato degli ebrei, come si sono espressi sulla loro posizione nella società, tra tolleranza, assimilazione, discriminazione e persecuzione. Singole figure e momenti erano già state oggetto di indagine; con questa opera A. Gerdmar ci conduce lungo l’intero percorso, abbracciando oltre un secolo e mezzo. Troviamo figure più note anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, come G. Kittel, curatore del diffusissimo Dizionario teologico del Nuovo Testamento, e R. Bultmann; altre meno note, ma non per questo meno influenti.

Una ricerca storica e scientifica, dunque, non un libro di divulgazione. Proprio in occasione della “Giornata della memoria”, però, è utile ricordare il valore della storia come indagine critica sul proprio passato, tanto più necessaria in un tempo in cui le percezioni sembrano tenere banco. Il vedere dove hanno già condotto determinate parole, che effetti hanno avuto certi stereotipi può e deve metterci in guardia contro la deriva delle posizioni animate da pregiudizi.

Al di là degli approfondimenti analitici di singole figure o aspetti, il percorso analizzato in questo libro pone il problema del rapporto tra l’antigiudaismo teologico e l’antisemitismo sociale e poi dichiaratamente razzista che si profila a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo per poi dilagare. Con antigiudaismo si può intendere quello che Jules Isaac aveva chiamato “l’insegnamento del disprezzo”: la visione secondo cui gli ebrei sono un popolo ripudiato da Dio per il suo rifiuto di Cristo, soppiantato dalla chiesa, decaduto dallo stato che avevano i suoi antenati biblici, o addirittura “degenerato”. Eppure mantenuto in vita, bollato come prigioniero del suo legalismo, del suo ritualismo, del suo nazionalismo, per essere la tragica e vivente testimonianza dell’errore “ebraico” e della verità del cristianesimo. Alcune di queste idee sono tipicamente medievali, altre si ritrovano anche nei dotti accademici di cui Gerdmar analizza la produzione esegetica. 

Se la distinzione tra antigiudaismo teologico e antisemitismo è affermata per motivi apologetici – le chiese avrebbero solo espresso polemicamente opinioni teologiche, l’antisemitismo sarebbe solo “pagano” – evidentemente non possiamo farla nostra. Personalmente ritengo che essa abbia una valenza per individuare la specifica responsabilità della tradizione cristiana, che è quella di aver creato lo stereotipo dell’“ebreo”, minoritario eppure ritenuto potentissimo, irriducibilmente diverso e quindi minaccioso, anzi dissolutore dell’integrità del popolo “cristiano”. Uno stereotipo onnipresente, per la sua presenza nel discorso cristiano, anche in assenza di ebrei reali. Un immaginario radicato, a cui si può ricorrere anche in contesti diversi da quelli in cui è nato. «Gli ebrei sono la nostra disgrazia», la sinistra parola che risuona in Germania a partire dal 1879 e poi rimbomba e trova crescente adesione fino alle leggi razziste del nazionalsocialismo (1933) e a tutto quel che ne è seguito… avrebbe trovato lo stesso terreno fertile se la visione degli ebrei come realtà negativa e persino distruttiva non avesse fatto parte per secoli del bagaglio del cristiano “qualunque”? 

La vicenda del protestantesimo in Germania negli anni Venti e Trenta del secolo scorso mostra poi una sorta di “scissione” sul fronte di chi pure si opponeva a una visione totalizzante del nazismo, tale da rivendicare anche l’omologazione della chiesa. Anche tra chi rifiutava – con fermezza e talora a caro prezzo – la pretesa di escludere dal ministero i pastori “non ariani” e di discriminare i membri di chiesa di ascendenza ebraica, trovava adesione l’idea che esistesse in Germania, nella società, un “problema ebraico” che richiedeva da parte dello Stato provvedimenti a difesa del “popolo”, anche con misure discriminatorie nei confronti degli ebrei. Sullo sfondo stavano una forzatura della visione dei “due regni” che finiva per attribuire allo Stato una totale autonomia e l’inclusione della nozione di “popolo” tra gli ordinamenti divini della creazione. Oppure si poteva articolare nella teologia o negli studi biblici una visione estremamente polemica e negativa degli ebrei, proprio mentre – intorno – essi venivano prima oltraggiati e aggrediti, poi deprivati di ogni diritto e infine avviati alla soluzione finale. Il “popolo” aveva ormai bandito ogni idea basata sugli uguali diritti di cittadinanza. 

Se rileggiamo con questo sguardo critico le vicende dei nostri nonni o bisnonni (dipende dall’età che abbiamo…) non è per sentirci a posto additando errori o colpe altrui, ma per cercare di essere consapevoli e responsabili di fronte alle scelte che attendono noi. Non sarebbe male, per l’Europa di oggi dove di nuovo si diffondono parole minacciose, se ci riuscissimo prima che diventino rimbombo.

Il libro di Anders Gerdmar Bibbia e antisemitismo teologico. L’esegesi biblica tedesca e gli ebrei da Herder e Semler a Kittel e Bultmann (ed. Paideia) viene presentato lunedì 27 gennaio alle 18,30, alla chiesa di San Gottardo in Corte (via F. Pecorari 2, Milano) con interventi di Daniele Garrone, Gadi Luzzatto Voghera e Gianantonio Borgonovo. Introduce e modera Armando Torno.