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Quattro anni senza Giulio, quattro anni di silenzio

Erano le 19:41 del 25 gennaio di quattro anni fa quando il ricercatore italiano Giulio Regeni inviava alla fidanzata un SMS nel quale diceva semplicemente che stava uscendo. Da allora, il ricercatore italiano scomparve diventando una delle tante vittime di sparizione forzata, di tortura e di omicidio nell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi. Da quando l’ex generale prese il potere nel 2013, il suo Paese ha visto il ritorno di un efficientissimo sistema di arresti extragiudiziali e di sparizioni forzate. La storia di Giulio non è quindi soltanto la sua, ma anche quella di migliaia di ricercatori, giornalisti e attivisti che da un giorno all’altro sono scomparsi senza lasciare tracce, per poi ricomparire nel migliore dei casi in un carcere oppure, come accaduto a Regeni, senza vita alla periferia del Cairo. In questi quattro anni, si è scritto e lavorato molto intorno a questa vicenda, senza arrivare a un allineamento tra la possibile verità storica e quella giudiziaria, al punto che, tra incertezze e debolezze, la vicenda di Giulio interroga tanto la politica italiana quanto quella egiziana.

«Grazie al lavoro della Procura di Roma – racconta Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, che è al fianco della famiglia Regeni sin dal giorno della scomparsa – sappiamo che alcuni funzionari dei servizi egiziani che sono iscritti nel registro degli indagati a Roma hanno preso parte almeno alle fasi precedenti al rapimento di Giulio, cioè a tutta la fase di pedinamento, di raccolta di informazioni, hanno preso parte allo stringere la rete intorno intorno a lui. Sappiamo che c’è un testimone che ha ammesso durante una riunione di servizi di paesi africani di essere stato tra coloro che presero Giulio e lo trascinarono su un’auto dei servizi egiziani. Altro non c’è perché le autorità egiziane come sempre non collaborano». Quel che si sa, lo si è appreso grazie a un lavoro costante, portato avanti dalla Procura insieme a numerose organizzazioni per i diritti umani, tanto in Italia quanto in Egitto, insieme alla famiglia Regeni e all’avvocata Alessandra Ballerini. Ma all’appello della rete di collaborazione manca un soggetto fondamentale: la politica italiana.

Tuttavia, alla fine del 2019 è emerso un fatto nuovo, ovvero l’insediamento della commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Erasmo Palazzotto, che ha lo scopo di ricostruire in primo luogo la verità storica e politica sull’uccisione di Giulio Regeni. Ma che cosa aspettarsi da questa commissione, al netto di una dichiarazione d’intenti sicuramente genuina da parte del suo presidente? Secondo Noury è «difficile pensare che dai lavori della commissione possa emergere qualcosa di più rispetto a quello che è emerso nelle attività investigative italiane. Nondimeno se questa Commissione potrà anche fare luce sui tanti motivi per cui l’impegno dell’Italia come governo, anzi come governi, quattro, è stato così flebile, discontinuo e timido in questi quattro anni, a quel punto sarà possibile avviare anche un’autocritica da parte delle istituzioni italiane».

In questi anni l’attenzione italiana verso le violazioni dei diritti umani in Egitto è stata piuttosto bassa, sicuramente insufficiente, e questo anche perché la crisi libica ha portato i due Paesi a sostenere due fronti contrapposti. In Libia, infatti, l’Italia appoggia il governo di Fayez al-Sarraj, mentre l’Egitto sostiene in modo forte e diretto il maresciallo Khalifa Haftar, al vertice del fronte di Bengasi. Anche per evitare escalation e mantenere invece un dialogo aperto, troppo spesso la nostra politica ha preferito mettere in secondo piano la questione Regeni, e tutto ciò che ne consegue a livello di rispetto dei diritti civili e umani. «È paradossale constatare – ricorda il portavoce di Amnesty – che nel 2017 una delle ragioni, ovviamente non evidenziate palesemente, del ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo fu proprio la necessità di arrivare ad Haftar attraverso l’Egitto per coinvolgere il generale di Bengasi nel controllo delle coste, dunque coinvolgerlo nell’accordo Italia-Libia». Ma questa è la storia di un fallimento, netto e bruciante, perché la rinuncia a una posizione ferma sulla vicenda di Giulio non ha portato neppure a quel risultato auspicato nel nome di un estremo realismo politico. E a poco valgono le consolazioni portate dalla solida collaborazione tra Eni e il Cairo per le attività estrattive.

Proprio per questo, del caso Regeni è necessario continuare a parlare. Per l’occasione, Amnesty International tornerà in piazza con una fiaccolata in un centinaio di piazze italiane, con l’accensione dei fuochi alle 19.41, proprio quel momento in cui quattro anni fa si interruppe per sempre una storia che sarebbe stato bello non dover mai raccontare in questo modo.

La campagna #4annisenzagiulio di Amnesty.it