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É il tempo di Vincent van Gogh

In molti ritenevano che Vincent van Gogh, quand’era giovane, avrebbe deciso di seguire le orme del padre e del nonno scegliendo di diventare anche lui un pastore protestante. 

Come sappiamo, così non fu. 

Tuttavia, l’artista – oggi ritenuto unanimemente tra i più importanti pittori al mondo – decise di far emergere la sua spiritualità e di realizzare delle opere sacre, ma non originali, reinterpretando l’arte sacra di due colleghi che lui stimava, Delacroix e Rembrandt. 

Vincent era figlio del reverendo Theodorus van Gogh, un pastore legato alla Scuola di Groninga, città dei Paesi Bassi e capoluogo della provincia omonima. Una Scuola teologica, sorta nel diciannovesimo secolo, dedita soprattutto agli studi biblici di Petrus Hofstede de Groot, il teologo protestante olandese nato a Leer (Frisia orientale) l’8 ottobre 1802 e morto a Groninga il 5 dicembre 1886. Dapprima, Groot operò come pastore a Ulrum e poi dal 1829 come professore a Groninga, dove divenne il più autorevole rappresentante della corrente teologica, seguita anche dal padre di van Gogh. 

Una corrente di orientamento essenzialmente razionalistico all’interno del calvinismo olandese (del cristianesimo respingeva i misteri fondamentali), che ebbe larga influenza in tutti i Paesi Bassi. 

Il giovane Vincent, in realtà aveva inizialmente deciso di seguire le orme del padre, poi, dopo una serie di fallimenti come predicatore decise, anche in virtù del turbolento rapporto con il padre, di abbandonare la carriera da pastore. 

Aveva poi deciso di dedicarsi al mercato dell’arte, nel quale si era introdotto anche il fratello Theodorus (Theo), con il quale intrattenne un fitto epistolario e che fu il primo conoscitore e finanziatore dell’arte di Vincent.

La formazione presso gli ambienti legati alla riforma e una quotidiana frequentazione con le Sacre Scritture influenzarono la crescita del giovane Vincent, ricorda il sito Alteia.org: «Vincent van Gogh è molto meno noto per i suoi dipinti religiosi che per i suoi girasoli, le notti stellate e gli innumerevoli autoritratti. Il motivo non è il fatto che appartengano tutti alla collezione vaticana, anche se in un caso è così; la realtà è che i pochi che dipinse, sono copie di altre opere e quindi ricevono scarsa attenzione».

In questi giorni sono in corso, e alcune invece in calendario, iniziative dedicate al pittore.

Il genio di Vincent Van Gogh arriverà a Parma attraverso un percorso multimediale in esposizione al Palazzo Dalla Rosa Prati. L’allestimento – Van Gogh Multimedia & Friends – una mostra che sarà fruibile dal 31 gennaio al 26 aprile realizzata da Navigare srl. 

«La mostra multimediale – avvisano i promotori -, attraverso proiezioni su grandi monitor analizza la vita e le opere del pittore olandese, soprattutto tramite la visione a video di dipinti e disegni realizzati nel corso della sua esistenza. […] Novità, lo spazio dedicato agli amici di Vincent Van Gogh: alcune opere originali, tutte inedite al grande pubblico, saranno esposte in questo spazio. Il visitatore avrà quindi l’occasione di avvicinarsi a delle opere di privati, che non si trovano pubblicate nemmeno sui libri di storia dell’arte: tra gli artisti presenti alla mostra con i suoi capolavori, Gauguin, Degas, Monet, Renoir e lo stesso Vincent Van Gogh, presente con inediti assoluti».

In questi giorni, poi, è in scena al Teatro Vittorio Emanuele di Messina uno spettacolo dedicato al pittore con l’attore Alessandro Preziosi per farne conoscere la vita mediante la piece L’odore assordante del bianco, ancora questa sera e domani.

È il 1889  – ci dice la sinossi – e l’unico desiderio di Vincent è uscire dalle austere mura del manicomio di Saint Paul. La sua prima speranza è riposta nell’inaspettata visita del fratello Theo che ha dovuto prendere quattro treni e persino un carretto, per andarlo a trovare … Come può vivere un grande pittore in un luogo dove non c’è altro colore che il bianco?

Attraverso l’imprevedibile metafora del temporaneo isolamento di Vincent Van Gogh in manicomio, lo spettacolo di Khora Teatro, in co-produzione con il Teatro Stabile d’Abruzzo e per la regia di Alessandro Maggi, è una sorta di thriller psicologico attorno al tema della creatività artistica che lascia lo spettatore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine.

Van Gogh ha realizzato, durante la sua vita, una quarantina di autoritratti e ciascuno sembra una nuova indagine su se stesso e sul suo animo tormentato. Un precursore del selfie, si potrebbe dire.

Nel periodo fra il 1886 e il 1889 l’artista ne ha dipinti trentasette; se potessimo metterli tutti su una parete per osservarli in ordine cronologico, potremmo individuare ogni fase della vita tormentata di quegli anni. Proprio  lunedì scorso gli esperti del Museo Van Gogh di Amsterdam hanno confermato l’autenticità di un autoritratto di proprietà della Galleria Nazionale di Oslo, in Norvegia. 

L’autenticità del dipinto, intitolato semplicemente Autoritratto, era in dubbio dal 1970 e il museo norvegese aveva deciso di sottoporlo all’esame degli specialisti olandesi già nel 2014. 

Per confermarne l’autenticità è stato eseguito uno studio della forma delle pennellate e alcuni riferimenti all’opera trovati nelle lettere che Van Gogh scriveva al fratello Théo.

«Gli esperti – ci dice il Post – hanno stabilito che Van Gogh dipinse l’autoritratto alla fine dell’estate del 1889, quando era ospite di un manicomio di Saint-Rémy-de-Provence, nel sud della Francia: è l’unica opera dell’artista realizzata durante uno dei suoi periodi psicotici e si pensa che sia per questo che ha colori più scuri rispetto ad altre opere di Van Gogh risalenti allo stesso periodo. La Galleria Nazionale di Oslo aveva acquistato il dipinto da un collezionista di Parigi nel 1910. Fu il primo dipinto di Van Gogh a entrare in una collezione pubblica. L’opera, che si trova ancora ad Amsterdam, tornerà in Norvegia nel 2021».