made_in_bangladesh

Made in Bangladesh vince il premio della giuria Interfedi

La 37ª edizione del Torino Film Festival, con Carolina Crescentini madrina della cerimonia di chiusura, si è conclusa con la premiazione di A White, White Day dell’islandese Hlynur Palmason.

Presente, come negli ultimi sette anni, anche la sezione Premio per il rispetto delle minoranze e per la laicità, curata dalla Giuria Interfedi e promossa dalla Chiesa Valdese e dalla Comunità Ebraica di Torino, con il patrocinio del Comitato Interfedi della Città di Torino.

Membri della giuria di quest’anno erano Sophie Peyronel (Chiesa Valdese), Daniele Segre (Comunità Ebraica) e Beppe Valperga (Comitato Interfedi), accompagnati in alcune occasioni dai ragazzi del Liceo Valdese di Torre Pellice.
Il premio è stato assegnato al film Made in Bangladesh del regista Rubaiyat Hossain, con la seguente motivazione: «rappresenta in modo efficace e crudamente realistico, con un’ottima recitazione e direzione, la condizione lavorativa femminile in un laboratorio tessile di un’area economicamente marginale, presentando una storia di emancipazione e coraggio che muove dalla presa di coscienza di diritti da noi dati per scontati e in altre realtà ancora da affermare».

Racconta la giurata Sophie Peyronel: «Sono un’amante dei festival e frequento il TFF da parecchi anni, incuriosita nel vedere i lavori della produzione internazionale. La quantità di film proposta durante il festival torinese è enorme, sono divisi in varie sezioni e ambiti e si spazia da film molto sperimentali, ancora un po’ grezzi, a film professionali, realizzati in stile hollywoodiano».

Il film premiato racconta la storia di un’operaia di 23 anni che lavora in una fabbrica di abbigliamento in Bangladesh in condizioni al limite dello sfruttamento. Ad un certo punto avviene un incidente, un incendio nello stabilimento che provoca la morte di decine di lavoratrici, e questo fatto scatena qualcosa nella protagonista, che decide di ribellarsi. 
«Shimu diventa l’eroina della storia – spiega Sophie Peyronel – e con l’aiuto di altre persone intraprende il difficile percorso di formare un sindacato, per far si che vengano rispettati i loro diritti, nonostante il rischio di licenziamento minacciato dai suoi superiori. Abbiamo pensato che questa storia apra gli occhi su realtà di cui sovente dimentichiamo l’esistenza: queste condizioni lavorative rischiose e durissime sono presenti ancora in molti luoghi del mondo e l’affermazione dei diritti dei lavoratori, che noi diamo per scontata, in molti paesi è ancora inarrivabile. Ci è sembrato anche un film molto ben realizzato: la protagonista recita in modo perfetto, fotografia e musica si accordano tra loro molto bene. Ora non ci resta che attendere (e sperare) in una buona distribuzione di questi e altri film meritevoli di visione e attenzione».