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Scienze religiose e dinamiche interculturali nelle società multireligiose

Nonostante da anni si ragioni intorno alla importanza della mediazione interculturale nei servizi sociali e a scuola per una piena inclusione di stranieri, immigrati e rifugiati, gli strumenti e le pratiche non sono mai abbastanza affinate e cambiano nel continuo. Una importante iniziativa è stata presentata dall’Università di Torino, giovedì 21 novembre al Campus Einaudi: il Master in Scienze religiose e Mediazione interculturale. Il convegno intitolato “Scienze religiose e dinamiche interculturali nelle società multireligiose”, coordinato da Ilaria Zuanazzi del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, ha presentato il progetto insieme ai docenti del Master e ha messo a confronto diverse esperienze sul campo.

Il primo elemento di interesse, che ho sottolineato durante la presentazione, è il focus del Master sulla interdisciplinarietà in quanto partecipano i dipartimenti di Giurisprudenza; Culture, Politica e Società; Filosofia e Scienze dell’Educazione; Studi Storici; Studi Umanistici. Questo approccio è molto importante perché da tempo ormai è risaputo che le migrazioni (cioè persone e famiglie, uomini e donne, minori e diaspore o comunità) non possono essere analizzate con una sola lente. Mettere al centro la persona significa anche questo, che ogni disciplina faccia un passo indietro per fare posto alle altre, in un dialogo interdisciplinare o multidisciplinare che è una sfida positiva.

In secondo luogo, ho sottolineato l’importanza degli aggettivi “multireligioso” e “interculturale” perché questa compresenza mi sembra interessante nel panorama dei Master in Italia, in cui il fattore religioso rimane solitamente sullo sfondo se non marginale. E invece, come mostra Paolo Naso nel suo ultimo libro “Le religioni sono vie di pace. Falso!” (Laterza 2019) è importante approfondire dal punto di vista storico, politico, sociale e culturale come i conflitti si sono alimentati attraverso il discorso religioso, come i fondamentalismi si sono propagati come fenomeno nuovo e contemporaneo e come la tensione tra religioni e fedi possa essere feconda per un agire all’insegna del dialogo, della conoscenza reciproca e della condivisione di momenti della vita sociale e rituale che possono davvero ravvivare la convivenza pacifica nelle città. 

Si tratta cioè di esplorare alcune parole chiave che sono state cancellate dal nostro vocabolario a causa di un dibattito pubblico tutto incentrato sulla paura del diverso e sulle ossessioni securitarie e identitarie che l’antropologo Francesco Remotti aveva messo in luce alcuni anni fa, in particolare con il libro “L’ossessione identitaria” (Laterza 2019), di nuovo disponibile. Le nuove parole chiave sono transnazionalismo e cosmopolitismo, cioè quella propensione di migranti, rifugiati e cittadini ad attraversare i confini e a stabilire ponti per costruire la possibile convivenza.

Chi sono i destinatari del Master? Tra le molte possibili professioni che hanno bisogno di strumenti per la mediazione interculturale, dal medico al poliziotto, dall’infermiere all’operatore sociale, speriamo vi siano soprattutto insegnanti perché la scuola è l’unica istituzione che può davvero fare la differenza per le future generazioni e per tenere alto il portato costituzionale. Questo significa contrastare la paura e l’insicurezza con un concetto che assomiglia più alla protezione, soprattutto relazionale, e all’inclusione sociale. Un concetto di prossimità che nelle scuole deve poter basarsi sullo “ius culturae”. Come non fare memoria a questo proposito della Circolare ministeriale 2 marzo 1994, n. 73 su “Dialogo interculturale e convivenza democratica: l’impegno progettuale della scuola” in cui si facevano affermazioni importanti. 

Come non ricordare a questo punto le recenti campagne “Ero straniero” con relativa proposta di legge di iniziativa popolare e “La giusta rotta”  che promuovono canali sicuri di ingresso e corridoi umanitari europei.

Massimo Recalcati ha scritto su Doppiozero: “Il nostro tempo è dominato da una inedita pulsione securitaria. Essa ha trasfigurato il concetto di confine da luogo di scambio e di transito a baluardo, argine, bastione. La patologia sociale contemporanea è ispirata da una passione profonda per il chiuso; la pulsione securitaria è una pulsione claustrofilica. In gioco è il passaggio dal paradigma libertino della pulsione (neo-liberale) che eleva il godimento a unica forma possibile della Legge e che ha sostenuto gli “entusiasmi” della globalizzazione, a quello reazionario della pulsione securitaria che eleva la sicurezza a oggetto di investimento libidico esclusivo. La tentazione del muro ha preso il posto della tentazione di una libertà senza argini. (…) La Scuola nel tempo della paura ha il compito di essere un antidoto di massa nei confronti della sirena inquietante e segregazionista della pulsione securitaria”. 

Recalcati ci spinge cioè verso una “tensione epistemofilica” che tende ad allargare l’orizzonte del mondo; è spinta verso l’aperto, la contaminazione, l’alterità. 

In un tempo in cui siamo circondati dal peso dei luoghi comuni, delle fake-news e dell’incapacità dei mass media di rendere la complessità del fenomeno migratorio, l’antropologia culturale, la psicologia e l’etnopsichiatria sono più che necessarie! Per creare uno spazio intermedio di socializzazione e apprendimento nella diversità, nel rispetto della laicità, che nasce dal confronto tra fedi e culture diverse: non c’è convivenza possibile senza piena libertà religiosa, di più senza una legge quadro sulla libertà religiosa. 

Per citare ancora Recalcati: “È l’antidoto del plurilinguisimo rispetto alla follia fondamentalista del monolinguismo. Se il linguaggio è la nostra sola patria è perché è fatto da una molteplicità di lingue che impedisce la loro sussunzione in una sola lingua. Lo ricordava con precisione Benjamin: la democrazia si istituisce sulla necessità inaggirabile della traduzione”. 

Dobbiamo cioè poter riconoscere le saldature tra i fondamentalismi e i populismi, ma anche l’urgenza della creazione di spazi di confronto pluralistico e di dialogo nella società.

Infine, la tensione tra sapere e pratica della ricerca è importante in un Master di questo tipo. Perché la questione fondamentale è la convivenza nelle nostre città. È urgente come si diceva una legge sullo “ius culturae” ed è importante ricordarlo a 30 anni dalla Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (20 novembre 2019): il dialogo interculturale e interreligioso ha bisogno di strumenti e di persone: per citare ancora Francesco Remotti che con il libro “Somiglianze” (Laterza 2019) ha introdotto una nuova categoria concettuale, quella di “con-dividuo” cioè di coloro che non si spaventano davanti alle differenze ma che anzi le ricercano, le condividono e le trasformano in occasioni di dialogo.