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Giustizia per le donne

Sono tanti sedici giorni? Sono pochi? Non servono a nulla? Chi davvero li prende a cuore? Domande, tante, si affollano insidiose quando si lavora per approntare lo strumento del Quaderno della Federazione donne evangeliche in Italia (Fdei), uscito con Riforma la settimana scorsa. È cambiato qualcosa intorno a noi nei rapporti tra donne e uomini grazie a queste nostre riflessioni, preghiere, studi biblici, appelli? Mentre scriviamo le storie delle donne molestate, stuprate, uccise, private dei figli, ignorate, vilipese sui social, maltrattate in famiglia, costrette a sposare uomini mai visti, respinte da paesi incapaci di accogliere, rigettate là dove non possono uscire di casa, dove da piccole le hanno mutilate nei loro genitali, a tratti le nostre parole ci sembrano del tutto insufficienti a far fronte alla tragedia che significa nascere donna per troppe sorelle della grande famiglia umana.

Le domande per riflettere “come?”, “perché?”, “per quanto ancora?” non suscitano risposte semplici, bensì esprimono la delusione per tentativi già intrapresi, con risultati scarsi o minimi, o anche il nostro senso di inadeguatezza rispetto alla sfida ambiziosa del nostro titolo Per vincere la violenza. Eppure insistiamo e persistiamo. Siamo tenaci, noi donne evangeliche, coriacee, direi! Non grazie a una nostra qualche innata virtù, ma in virtù di Colui che ci ha amate e ha dato se stesso per noi, invitandoci a spendere anche la nostra vita per il nostro prossimo più fragile, meno difeso, più oppresso, più bisognoso di attenzione, cura, protezione.

Si tratta di dover vincere una vera e propria guerra, quella tra la violenza e nonviolenza, quella eterna tra i due generi dell’umanità; servono quindi delle armi. Ovviamente, le “armi” che affiliamo noi, non sono quelle di metallo (quelle, purtroppo, le impugnano gli uomini). Le nostre, invece, sono le armi del «buon combattimento» (I Tim.6, 12), quello della fede di chi crede appunto nella vittoria, sempre e nonostante tutto, perché «la vittoria appartiene al Signore» (Proverbi 21, 31).

In primo luogo, l’amore. «Non esser vinto dal male, ma vinci il male con il bene» (Romani 12, 21) ci è stato insegnato. E allora, anche se è difficile volere il bene di chi ci fa male, appoggiamo tutte quelle iniziative che si propongono di curare gli uomini maltrattanti, per farli uscire dalla loro coazione alle botte. È possibile? «Tutto è possibile a chi crede» (Marco 9, 23), per quanto non molti siano disposti a farsi curare.

Ciò non significa, però, che la violenza non debba essere riconosciuta e denunciata e perseguita come un vero e proprio reato: e allora la parola che più di altre ricorre in questo nostro quaderno vi accorgerete che è giustizia. La giustizia umana, parziale, imperfetta, lenta che però in qualche modo può ridare dignità alle donne offese, le può aiutare a riprendere un cammino interrotto, può compensare e risarcire ferite anche profonde. 

Questa giustizia è scritta a chiare lettere nelle leggi degli uomini, ma spesso meno chiaramente attuata nelle aule dei tribunali. È il caso della Convenzione di Istanbul di cui il nostro quaderno presenta alcuni articoli particolarmente apprezzabili per lo scopo che si prefiggono. Si tratta di una Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, promulgata nel 2011. Ratificata dall’Italia solo due anni dopo, a cinque anni di distanza risulta conosciuta e applicata nel nostro paese poco e male, a quanto scopriamo leggendo il Rapporto di una nutrita serie di associazioni di donne in rete contro la violenza. 

Come Fdei abbiamo ritenuto utile almeno far conoscere l’esistenza di questa legge importante che impegna gli Stati europei a mettere in campo politiche integrate di sensibilizzazione, educazione, formazione delle figure professionali, programmi di prevenzione e di trattamento, di protezione e di sostegno, servizi di supporto, assistenza per le denunce, indagini, procedimenti penali e gratuito patrocinio e tanto altro. Sulla carta non manca niente: è un’ottima legge.

La nostra speranza è che il nostro impegno/combattimento spirituale durante questi sedici giorni contribuisca a concretizzare le parole della legge in gesti e azioni che ristabiliscano il diritto. Il nostro specifico apporto di donne e uomini credenti sarà tanto più efficace quanto più mediteremo insieme la legge del Signore e a essa ci appelleremo in preghiera, con fiducia incrollabile nella Sua superiore giustizia, nella Sua pace, nel Suo amore.