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Caso Galizia. Risposte alla quinta «W»?

«Perché sei arrabbiato @OwenBonnici? Nessuno ha messo una bomba nella tua auto. A differenza del tuo primo ministro “impeccabile” io non conto criminali tra i miei amici. #DaphneCaruanaGalizia», è il tweet lanciato poche ore fa sulla piattaforma social «che cinguetta» da Corinne Vella, sorella di Daphne Caruana Galizia, la giornalista assassinata a Malta con un’autobomba il 16 ottobre del 2016. 

Owen Bonnici è il ministro della Giustizia di Malta, ieri duramente contestato da una folla inferocita che ha colpito con calci e pugni la sua auto mentre usciva dal Parlamento dopo aver appreso dell’arresto del presunto mandante dell’omicidio della giornalista: l’imprenditore Yorgen Fenech, amministratore delegato del Tumas Group e direttore generale della centrale elettrica a gas di Malta, e sulle cui tangenti Galizia stava indagando poco prima di essere assassinata. 

Una risposta piccata e comprensibile quella di Vella, lanciata sul web pochi minuti dopo l’imbarazzante dichiarazione rilasciata dal ministro Bonnici che non condannando i possibili intrecci tra la politica e l’arrestato, ha detto: «La quantità di colpi, di calci e di pugni inferta alla mia auto non ci impedirà di lavorare per il Paese». 

Yorgen Fenech, il presunto mandante dell’omicidio non è un uomo qualunque, è infatti il proprietario della nota società con sede a Dubai, la 17Black individuata da Galizia come il «veicolo» utilizzato per il pagamento di tangenti a due membri del governo laburista maltese tuttora in carica: il capo di gabinetto Keith Schembri e il ministro Konrad Mizzi.

«Ora m’aspetto che le autorità continuino le indagini sui legami (dell’imprenditore maltese Yorgen Fenech, ndr) con il ministro del Turismo, Konrad Mizzi e il capo di gabinetto del premier, Keith Schembri», ha dichiarato Vella all’Agenzia Italia (Agi). Per Corinne, «c’è una responsabilità politica per quello che è avvenuto e questa ricade sul premier Joseph Muscat».

Per comprendere e far comprendere bene una situazione basta poter rispondere a cinque domande, ma le risposte devono poter essere complete. L’esempio è la regola giornalistica anglosassone delle cinque «W»: chi sono i soggetti, i protagonisti, i decisori, i clienti, i responsabili? Che cosa si deve fare, cosa è stato fatto? Quando è avvenuto o dovrà avvenire un fatto? Qual è il territorio, lo spazio, l’ambito in cui è successo o accadrà qualcosa? Qual è lo scopo, la finalità di ciò che si dice, si fa, si vuole? Nel caso Caruana Galizia mancava il «who», il chi, quello ufficiale, non ancora arrivato. Oggi, con l’arresto di uno dei possibili «autori» il cerchio inizia a chiudersi. 

Molti giornalisti italiani e stranieri si sono impegnati, con caparbietà, per far luce e mantenere alta l’attenzione sul caso Galizia in questi anni, alcuni attuando la pratica della «scorta mediatica» garantendo la dovuta visibilità al caso e alle inchieste della giornalista, altre e altri, addirittura spingendosi sino a Malta per portare avanti (facendolo proprio) il lavoro d’inchiesta iniziato da Daphne. 

Il sindacato dei giornalisti diramando la notizia dell’arresto dell’imprenditore maltese (che era a bordo del suo yachtintercettato e bloccato dalle forze di polizia mentre cercava di uscire dalle acque territoriali a poche ore dalla promessa di grazia garantita dal premier maltese al presunto mediatore dell’omicidio della giornalista Galizia), ha annunciato di voler invitare Corinne Vella e i colleghi Emanuel Delia e Caroline Muscat «per promuovere un’iniziativa tesa a rafforzare la scorta mediatica e la collaborazione tra la Federazione nazionale della stampa italiana e tra chi non si è mai rassegnato a lasciare campo libero a bugie, omissioni e collusioni».