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Islamismo capitalista – Il wahabismo in Arabia Saudita

La principale contraddizione che vive l’Arabia Saudita oggi è quella di «Essere un paese che afferma di avere come Costituzione il Corano, di essere custode dei luoghi Santi dell’Islam, di diffondere la religiosità wahhabita in tutto il mondo ma, allo stesso tempo, essere uno dei laboratori più avanzati del capitalismo contemporaneo con tutto il suo carico di sregolato desiderio consumistico», afferma Emiliano Laurenzi, autore del libro «Islamismo capitalista. Il wahhabismo in Arabia Saudita», pubblicato da Manifestolibri e che sarà presentato oggi 20 novembre a Torino, insieme all’autore, alle 16,30 presso l’Auditorium dell’Università «G. Quazza» (v. S.Ottavio 20) insieme alla professoressa Simona Tirocchi (sociologa dei processi culturali e comunicativi) e al professor Carlo Capello (antropologo) .

«Un libro – ricorda Laurenzi -, che nell’esposizione delle tesi che intende presentare, utilizza spesso toni molto netti e non esita a fare precise scelte interpretative, incorrendo forse in qualche leggera imprecisione, ma sostanzialmente senza alterare né i fatti storici né la fattispecie del movimento religioso preso in esame». 

Difficile, infatti, scegliere di mettere insieme il Wahhabismo, dal nome del fondatore del movimento, Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhāb (1703-1792), denominazione religiosa musulmana di tipo dogmatico  radicale (che mira a liberare la religione da tutte le novità sopravvenute dopo i primi tempi dell’islamismo) e il Capitalismo, sistema economico in cui il capitale di proprietà privata fluttua nel libero mercato. 

Un «capitalismo consumista – prosegue Laurenzi – che sta dimostrando ampiamente di sapersi sviluppare benissimo in Arabia Saudita, anche in assenza di un regime democratico, liberale e dei diritti che secondo l’interpretazione corrente ne dovrebbe denotare l’adozione. Questa – afferma Laurenzi – è la principale e stridente contraddizione su cui “gioca” anche il destino dell’Arabia Saudita e la sua peculiare evoluzione». 

L’Arabia Saudita, infatti, ricorda anche il professore esperto di Medio Oriente Michele Zanzucchi su Avvenire nell’articolo Capitalismo e islam, i rischi per le monarchie del Golfo «La legge di bilancio 2019 (dell’Arabia Saudita) è (appunto, ndr) di natura espansiva, con un ulteriore aumento della spesa pubblica (+7%), per sostenere il grande progetto “Vision 2030” di Muhammad Bin Salman, principe ereditario in crisi dopo il caso Kashoggi (Jamal Khashoggi, è il giornalista del Washington Post ucciso nel consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018, ndr) e altre disavventure. […]».

L’Arabia Saudita, prosegue Laurenzi, «infatti, appare agli occhi dell’opinione pubblica occidentale come un paradiso del lusso, un luogo sfavillante di ricchezza, meta della moda per il jet setinternazionale. Fra tutti i cosiddetti Rentier State su base petrolifera, è quello che sembra aver meglio interpretato l’immaginario delle società occidentali in termini di benessere, successo, potere e denaro. Il wahabismo, infatti, proprio per le sue caratteristiche ultraconservatrici e formaliste nell’applicazione del dettato coranico, costituisce in Arabia saudita la base più adatta al dispiegarsi di un potere politico e di una dinamica sociale perfettamente conformi alle caratteristiche espansive del capitalismo, in particolare per la sua dimensione cultuale, cioè al dispiegarsi sregolato di un desiderio consumistico che non conosce soddisfacimento, che non ha come fine l’affermazione o la redenzione, ma solo la propria incessante perpetuazione, mai soddisfatta».

Contraddizioni, rileva infine Laurenzi, «che toccano una grande molteplicità di aspetti religiosi, sociali ed economici e che in qualche modo attraversano tutto il mondo musulmano: un Islam non uniforme e non compatto e unito, come erroneamente si sarebbe spinti a pensare». 

Emiliano Laurenzi, laureato in Lettere e Filosofia all’Università La Sapienza di Roma, nella quale ha condotto diversi seminari per la Cattedra di Sociologia della Letteratura, ha conseguito il Dottorato di ricerca in Comunicazione e Spettacolo presso l’Università Carlo Bo di Urbino, dove è stato anche professore a contratto per la Cattedra di Sociologia della Comunicazione. È autore e coautore di saggi, articoli e relazioni su pubblicazioni accademiche, riviste e periodici.