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Insegnare ai leader di chiesa a essere chiari e fieri comunicatori

I media, afferma Mari Graham Evans, sono sempre stati social, per almeno due motivi: spesso presentano contenuti generati dagli utenti e talvolta diventano virali nella loro diffusione.

Evans, la stratega delle relazioni con i social media e con i media dell’agenzia presbiteriana di missione, si unisce a Gail Strange, direttore dell’agenzia di comunicazione della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti (PcUsa), per viaggiare nel paese organizzando seminari che aiutino i comunicatori della chiesa e del consiglio centrale a raggiungere il loro pubblico in modo efficace e con la massima frequenza possibile. I due hanno completato uno di questi seminari giovedì per circa due dozzine di partecipanti provenienti presso la chiesa presbiteriana a Long Lake, Minnesota.

Strange ha condotto un incontro di cinque ore aiutando ogni chiesa rappresentata a iniziare a sviluppare un piano di comunicazione che possa affrontare varie sfide: l’invecchiamento della popolazione della chiesa e delle strutture che soffrono a causa di bisogni di capitale insoddisfatti, il calo delle contribuzioni, la riduzione dei budget, un minor numero di membri che vive vicino alla chiesa e la carenza di ruoli pastorali. 

Strange ha invitato i partecipanti a stabilire alcuni obiettivi misurabili e raggiungibili: aumentare la partecipazione del 5 per cento, aumentare l’impegno dei membri in varie aree della vita di una comunità del 10 per cento e aumentare la presenza digitale e online della chiesa ad esempio aumentando i commenti e i “Mi piace” di Facebook del 5 percento in un anno e i follower di Twitter del 10 percento. 

Non è indispensabile eseguire il piano di azione per un periodo di tempo prestabilito, ad esempio un anno. Va considerato il periodo di tempo che viene ritenuto migliore per la propria chiesa di riferimento.

L’invito è a non lasciare che il budget impedisca di sognare in grande, bensì vanno considerate tutte le opportunità, alcune delle quali potranno abbattere i costi.

Graham ha ricordato ai comunicatori quale sia il loro compito: le chiese «possono essere fonti di ispirazione e catalizzatori per il cambiamento», ha affermato. «Offrite speranza e l’amore di Cristo. È una fantastica opportunità e, qualcuno direbbe, è una nostra responsabilità».

Incontrare le persone dove si trovano praticamente richiede una presenza sui social media: dei 7,7 miliardi di residenti sul pianeta Terra, circa 5 miliardi hanno telefoni cellulari, 4 miliardi usano Internet e 3,5 miliardi sono attivi usando i social media. Più della metà si affida esclusivamente ai social media per ricevere notizie. «È un po’ scoraggiante, ma è un’opportunità».

L’americano medio trascorre circa due ore al giorno usando i social media. I residenti nelle Filippine trascorrono ne spendono più del doppio, i più assidui al mondo.

Ma i social media, anche se usati bene, non sono affatto una panacea per la crescita della chiesa è stato sottolineato.

«I social media non porteranno le persone nei vostri banchi», ha detto Evans. «Non possono agire da soli. I media devono lavorare insieme per essere efficaci, ma non così bene da convincere le persone a rimanere dietro i loro schermi. Devono essere uno stimolo, non una soluzione».

I comunicatori possono spendere soldi per cercare di rendere più popolare un post, «ma è uno spreco di denaro». L’invito è a lavorare sulle basi: una foto forte, un chiaro invito all’azione e una didascalia ben scritta.

Insomma, i nuovi media possono avere un ruolo aggregante e di chiamata all’azione se si conoscono le tecniche per adoperarli al meglio.

Foto di Mike Ferguson: il workshop in Minnesota