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Ilaria Cucchi: «Stefano ora può riposare in pace»

«Si è fatta sera. Io e Fabio siamo a casa. Aspettiamo che arrivino da Ferrara i suoi collaboratori Silvia e Francesco. Anche loro hanno dato l’anima per questo processo.

Poi arriverà anche Gianluca. L’attesa si fa sempre più invadente. Tesa. Cerchiamo di non pensare a domani. Ascoltiamo Bruce Springsteen e cerchiamo di pensare ad altro.

Domani ci sarà la sentenza.

Domani i Giudici decideranno sul processo per la morte di Stefano.

Quello vero.

Quello contro i Carabinieri accusati di averlo ucciso.

Sono grata a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi lunghissimi dieci anni di battaglie. Sono grata ai Pm Pignatone e Musarò. Impossibile liberarsi da quest’ansia profonda che ti toglie il respiro. Tantissime persone ci chiamano. Vogliono esserci. Stefano non è solo. Non è stato dimenticato. Io e i miei genitori siamo allo stremo delle forze. Loro hanno tanta fiducia e un po’ di rassegnazione di un padre e una madre cui è stato tolto in modo terribile un figlio. Nulla può esservi di peggio.

Seduta a tavola, guardo Fabio (l’avvocato Ansemo, compagno di Ilaria, ndr) scrivere. Fa finta che sia una serata normale, ma ci riesce proprio male. Dai Stefano! Dacci una mano da lassù!».

Queste parole, così intense e paradossalmente normali, sono state scritte da Ilaria Cucchi (sorella di Stefano) sulla pagina facebook seguita da oltre quattrocentomila persone e proprio alla viglia della sentenza, resa nota ieri.

Parole e pensieri che riassumono bene i lunghi dieci anni di caparbietà dimostrata dalla famiglia di Stefano. Una famiglia che invece di ottenere una normale e celere giustizia per la morte del proprio famigliare, ha dovuto subire sofferenze, insulti, pressioni, depistaggi, sempre e prontamente contrastati dall’avvocato e «angelo custode» della famiglia, Fabio Anselmo che, pazientemente, li ha smascherati uno a uno; tentativi maldestri e messi in atto per nascondere una verità evidente, che si voleva goffamente tenere nascosta.

La vicenda di Stefano Cucchi, purtroppo, è una tra le più tristi del nostro paese per la sua intensità, tragicità, perché incarna le tante altre («morti nelle mani dello Stato») ancora in attesa di verità e giustizia.

La Corte d’Assise di Roma ieri, presieduta da Vincenzo Capozza, finalmente, e dopo due lustri, ha condannato i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a dodici anni. E’ stato assolto dall’accusa di omicidio Francesco Tedesco, ossia l’imputato-accusatore che con le sue dichiarazioni ha fatto luce sul pestaggio subito da Stefano in caserma la notte del suo arresto. A carico di Tedesco rimane però una condanna a 2 anni e sei mesi per il reato di falso; reato che viene anche contestato a Roberto Mandolini, il comandante interinale della stazione Appia cui sono stati comminati tre anni e otto mesi. É stata confermata l’assoluzione a Vincenzo Nicolardi e a Tedesco e Mandolini, dall’accusa di calunnia. È stato poi disposto il pagamento di una provvisionale di 100mila euro ciascuno ai genitori di Stefano Cucchi e alla sorella Ilaria, che si è battuta in questi anni per arrivare alla verità e alla giustizia.

Una bella foto in queste ore gira per il web, campeggia su giornali e colora le immagini televisive: quella di un maresciallo dei carabinieri (ancora non è noto il suo nome) che, commosso dopo aver udito la sentenza, si esprime con un gesto d’altri tempi, un «baciamano» riservato a Ilaria Cucchi.

«Una giornata difficilissima – scriveva proprio ieri sera e dopo un’altra lunga e difficile giornata Ilaria nel suo diario online postando la foto del baciamano del carabiniere –. Questa per me è stata una carezza. Mi ha scaldato il cuore. Questo per me è un carabiniere vero».

Sono stati tantissimi, come sempre, gli attestati di stima e di soddisfazione per la sentenza (e di vicinanza), giunti in modi diversi alla famiglia Cucchi.

Il «caso Cucchi» ha saputo unire intorno a sé una moltitudine di persone, una gran fetta di società civile e di opinione pubblica, trovando adesioni nel mondo dell’attivismo culturale, artistico, sociale, e di parte della buona politica, quella resistente e democratica.

A sentenza emessa, infatti, sono piovuti immediatamente i primi commenti.

«A Stefano. Sempre» è stata la sintetica ma efficace dedica postata dall’attore Alessandro Borghi che ne ha interpretato il ruolo nel film uscito poco più di un anno fa, intitolato «Sulla mia pelle» e dedicato alla storia di Cucchi.

E ancora nella rete web: «Grazie Ilaria per tutto quello che hai fatto per Stefano e che hai fatto anche per noi. Un grande abbraccio commosso a tutti voi ❤»; «Noi tutti le dobbiamo gratitudine Signora Cucchi, per averci dimostrato che non si deve mollare. Mai. Lei è un esempio preziosissimo. GRAZIE ❤»; «Oggi in aula erano presenti i cuori di ognuno di noi. Ci sono voluti 10 anni ma il vostro sacrificio è servito. Nessuna condanna sarà la giusta pena. Ma adesso Stefano può riposare in pace perché la sua dignità gli è stata restituita! Ammirevole la tua tenacia. Andremo a dormire con questa immagine (baciamano del carabinere, ndr) commovente nella nostra mente e con la certezza che la Giustizia – prima o poi – trionfa, sempre! Stefano ha finalmente avuto giustizia, voi e noi con lui».

Attestati di stima che sono frastornanti, che fanno rumore, e che fortunatamente hanno sovrastato le piccole, meschine e volgari affermazioni emerse nel tempo e che ancora oggi qualcuno cerca di difendere maldestramente; frasi cariche di odio e di rancore uscite dalla bocca di «rappresentanti» di partiti politici che non possono e non devono essere dimenticate e che, infatti, molte persone stanno facendo girare, riaffiorare, sia postando vecchi articoli di giornali, sia proponendo vecchi stralci di interviste video e dichiarazioni sul web, commenti accompagnati da un monito: «Per non dimenticare!».

E così, in queste ore è riemerso, nella sua prepotente volgarità, anche il «famoso» epiteto di salviniana memoria rivolto a Ilaria Cucchi: «[…] mi fa schifo, si dovrebbe vergognare. Difficile pensare che ci siano stati carabinieri che pestarono quello lì per il gusto di pestare», raccolto dai giornalisti nel 2016 dalla bocca del leader della Lega.

Sarebbero in molti, in realtà, coloro che oggi come allora dovrebbero sentire il dovere morale di chiedere scusa per le cattiverie e gli insulti espressi nei confronti di una famiglia ferita, per quei commenti tesi a legittimare una possibile violenza di Stato; dovrebbero farlo per dimostrare, se non pentimento, almeno un moto di dignità, soprattutto dopo la sentenza di ieri.

Non lo faranno.

Anzi, le recenti e inquietanti dichiarazioni rilasciate da Salvini in queste ore (elargite apposta per distogliere l’attenzione ancora una volta?) a sentenza emessa (e che ora stanno oscurando mediaticamente la notizia della sentenza) fanno prefigurare una possibile querela da parte di Ilaria Cucchi.

Rimarranno, però, in tutta questa brutta storia, le numerose e belle dimostrazioni di solidarietà e di affetto giunte alla famifglia Cucchi in tutti questi anni e le tante belle immagini che raccontano un’Italia diversa. Una per tutte: la fotografia del carabiniere  – che certamente non ha colpe – mentre bacia la mano di Ilaria, elegantemente, con stile, con grande senso di responsabilità e generosità. Un carabiniere, un uomo dello Stato, che ha deciso di prenderle quelle colpe sulle sue spalle a nome di tutti. Un esempio di persona al servizio dello Stato e per bene. Chapeau.

Foto: Muaro Biani per Stefano Cucchi, vignetta