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Lo Spirito soffia dove (e come) vuole

Nel calendario di collette speciali e domeniche dedicate stabilito dalla Tavola valdese, la prossima domenica, 17 novembre, sarà dedicata all’Unione predicatori locali.

Uomini e donne “laici” (usiamo questo termine anche se improprio), cioè non pastori né diaconi, per intenderci, che in genere svolgono (o hanno svolto, se pensionati) un altro lavoro, nel “mondo profano”: questo li caratterizza positivamente rispetto ai pastori, secondo Paola Visintin, segretaria dell’Unione predicatori locali (Upl), perché vivono «le contraddizioni e le logiche del mondo lavorativo “secolare”: questo dà loro una visione più ampia, che nella cura pastorale può aggiungere comprensione ed empatia».

Negli ultimi anni ci sono stati, all’interno delle chiese metodiste e valdesi, alcuni esempi di persone che hanno maturato un percorso di formazione che le ha portate dal ruolo di predicatori a quello di pastori locali (a cui è affidata una comunità, ma che continuano a svolgere la loro professione “esterna”): è il caso di Stanislao Calati (cui è affidata la comunità metodista di Vercelli) e Nicola Tedoldi (che segue la chiesa metodista plurisede di Cremona-Piacenza) consacrati rispettivamente in occasione dei Sinodo 2017 e 2019.

Quest’ultimo, oltretutto, nel culto presieduto da Erica Sfredda, anch’essa predicatrice locale. Sebbene non fosse la prima volta in assoluto, si è trattato (commenta ancora Visintin) di «un momento importante, una bellissima testimonianza di emancipazione, per nulla scontata, della possibilità, per le donne che hanno fatto una scelta diversa da quella del pastorato, di servire Cristo attraverso altri doni».

Sul fatto che il ministero “pastorale” (in senso ampio) delle donne non sia scontato, una testimonianza arriva dall’ambito battista da Emmanuela Banfo, che ricorda, pur sottolineando di essere sempre stata ben accolta come donna predicatrice anche nelle chiese più conservatrici, un episodio traumatico in cui le venne chiesto di non presiedere il culto in cui era prevista la Santa Cena. Eppure questo aspetto (l’amministrazione dei sacramenti) così come la quotidianità della vita ecclesiastica (studi biblici, catechismo, scuola domenicale…), cura pastorale, possono ricadere sulle spalle dei predicatori locali, in assenza del pastore titolare.

Il loro ruolo è diventato vitale in aree “scoperte” come Calabria, Puglia e Basilicata, lo testimonia Giovanni Magnifico, predicatore locale di Cerignola (Fg): «Come circuito (Puglia e Basilicata), ci siamo trovati a coprire vaste distanze e la presenza di predicatori locali, sebbene ridotta nei numeri, è stata fondamentale». Ora la situazione è migliorata, ma continuano a esserci comunità prive di un pastore residente, e in cui la presenza in loco di laici preparati, conferma ancora la segretaria Upl Paola Visintin, «aiuta a ricreare un tessuto comunitario che ha bisogno di essere alimentato, ed è fondamentale per il lavoro di rete fra comunità, anche in appoggio all’attività di formazione».

Formazione è una parola chiave per tutti gli intervistati: crescendo il numero di chiese loro affidate, spiega Visintin, «nasce un’esigenza sempre più forte di formazione, teologica e non solo, penso per esempio all’ambito delle chiese multietniche e al Master in teologia interculturale». Le fa eco Emmanuela Banfo: «Chi porta la Parola del Signore non deve essere solo consapevole del ruolo, ma anche preparato nella materia». Diversi predicatori e predicatrici locali hanno seguito percorsi di formazione in collaborazione con la Commissione Permanente Studi e la Facoltà valdese di Teologia, alcuni vi hanno conseguito la laurea, eppure sembra permanere una tendenza a considerarli in funzione di «tappabuchi», «come un ripiego», come fanno gli studenti quando si trovano di fronte a un supplente al posto del professore.

Le conseguenze, osserva Magnifico, «si riscontrano soprattutto se interviene sporadicamente: la sua predicazione può sembrare calata dall’alto. Se invece la sua presenza diventa continuativa, può incidere sul contesto locale». Siamo ben lontani incalza Banfo, «dal vivere quel sacerdozio universale dei credenti che, soprattutto nelle chiese battiste (dove peraltro un predicatore è diventato di fatto pastore della comunità solo in pochi casi, di comunità molto piccole), si darebbe per scontato. Il loro ruolo non viene riconosciuto pienamente». Invece, dal momento che il loro ruolo sarà sempre più importante, continua, «sarebbe più lungimirante investire su di loro, in modo meno volontaristico di adesso, lasciato alla buona volontà e all’onere (anche economico) del singolo.

Alla lunga, l’assenza di una formazione adeguata ha conseguenze negative sulla chiesa stessa». Anche in ambito valdese e metodista, nonostante un percorso di formazione strutturato, esiste una pluralità di forme non istituzionali, ricorda Paola Visintin: «Ci sono predicatori locali non iscritti all’Upl, che esercitano questo ministero in modo informale», e conclude con una nota di fiducia: «Su questo siamo diventati più “elastici” (anche per un discorso pratico), abbiamo capito che “lo Spirito soffia dove (e come) vuole”…».

 

Foto: via iStock.com/Sergio Yoneda