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Alla ricerca della pecora smarrita

Così dice il Signore: «Eccomi! Io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro»
Ezechiele 34, 11

Gesù, vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore
Matteo 9, 36

Il verso tratto dal libro del profeta Ezechiele immancabilmente ci rimanda alla parabola della pecora smarrita in Luca 15, 3-7, in cui si riscontra lo strano atteggiamento di un pastore che abbandona un gregge mansueto per recuperare una pecora ribelle.

È questa la metafora del Figlio che si spoglia delle prerogative divine (v. Fil 2) per farsi uomo e salvare un’umanità ribelle. E questo perché l’Amore di Dio sa sacrificare ciò che ha e ciò che è, per riportare a sé i peccatori. 

Questa parabola è in risposta a scribi e farisei che accusavano Gesù di frequentare gente poco raccomandabile, ma Gesù agiva con un anticonformismo sorprendente. Il pastore, inopinatamente, si muove alla ricerca della pecora “fuori dal coro”. 

Le altre novantanove, erano docili, tranquille, ma il buon Pastore si spende per quella che aveva abbandonato il gregge, abbandonando le comodità di una religione rassicurante. 

Riflettiamo un attimo: per una pecora, il recinto rappresenta la sicurezza. La libertà vale molto di più di una proposta di fede preconfezionata, dogmatica, piena di domande senza risposte, e spesso la libertà si paga con l’incomprensione, con l’isolamento, con le critiche.

Ma ecco il colpo di scena: il miracolo accade, il Pastore si mette in moto e ritrova la pecora smarrita. Non si adira per il suo spirito ribelle, ma pieno di gioia si carica la pecora fuggiasca sulle spalle e la porta con sé… non la riporta nel recinto, ma a casa sua, per far festa con gli amici. 

Chi vuol intendere, intenda…

Immagine: Il Buon pastore, c. 300-350, dalle Catacombe di Domitilla, Musei Vaticani (credits: Flickr)