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Il giorno in cui il mondo non fu più diviso

La data del 9 novembre ha un valore molto particolare nella storia della Germania. Ricorrono infatti più di un evento in questa giornata, tra di loro due felici e uno molto tragico. Il 9 novembre 1918 fu proclamata la prima Repubblica della Germania, entrata negli annali come Repubblica di Weimar. Solo vent’anni dopo invece con il pogrom nella cosiddetta “Notte dei Cristalli”, la Reichskristallnacht, furono distrutte più di 1400 tra sinagoghe e case di preghiera, cimiteri e i luoghi di aggregazione delle comunità ebraiche. Migliaia di negozi e di case private furono distrutte o semidistrutte e saccheggiate e gli ebrei persero anche gli ultimi diritti. A un altro 9 novembre importante per la storia della Germania ho assistito invece di persona: l’apertura del confine interno-tedesco nel 1989.

A quel tempo vivevo con la mia famiglia nel nord della Baviera, nella Germania occidentale, non lontano dal confine. A differenza di molti cittadini della Repubblica Federale della nostra età, mia moglie (che, tra l’altro, festeggia il suo compleanno il 9 novembre) e io abbiamo sempre avuto stretti contatti con cittadini della Repubblica Democratica tedesca (Rdt/Ddr). Mia madre era nata a Dresda, la famiglia di mia moglie coltivava amicizie anche oltre il confine. Passavamo la “cortina di ferro”, come era chiamato il confine interno tedesco, diverse volte all’anno. Ogni volta bisognava chiedere un visto e mantenere i nervi saldi quando i poliziotti della Rdt perquisivano ogni angolo della nostra macchina.    

Le immagini di questo mostruoso confine mi si sono rimaste profondamente impresse nell’anima. Una frontiera a forma di muro che tagliava in due Berlino e che oltre la città si presentava come un’alta recinzione con torri di guardia, un’ampia striscia minata, installazioni di tiro automatico e all’interno diversi chilometri di terreno inaccessibili per i cittadini dell’Est. Poiché prima del 1989 abbiamo anche fatto diversi viaggi in Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Polonia e in Unione Sovietica, ero ben consapevole che questo confine divideva in due parti non solo la Germania, ma in fondo tutto il mondo. L’ho vissuto sempre come espressione di un mondo malato di schizofrenia, una malattia drammatica che aveva portato alla folle corsa agli armamenti tra Oriente e Occidente. Sperare in un’apertura di questo confine all’epoca mi sembrava un’utopia irrealistica. Ancora ai primi di ottobre del 1989, quando abbiamo battezzato la nostra seconda figlia, abbiamo rinunciato a scegliere un’amica della Rdt come madrina, pensando che non avrebbe avuto la possibilità di vedere crescere e fare visita alla sua figlioccia.

Poi tutto è cambiato in un modo incredibilmente veloce. Sera dopo sera seguivamo in televisione le manifestazioni nelle città della Germania dell’Est. Ricordo che i giornalisti della Germania occidentale chiedevano ripetutamente ai manifestanti che cosa pensavano circa una possibile unificazione della Germania e che essi invece sembravano soprattutto interessati a lottare per le riforme nel loro paese. Per un breve periodo di tempo abbiamo ospitato nella nostra casa due rifugiati dell’ambasciata tedesca a Praga.

Il 9 novembre, l’incredibile notizia che il confine era stato aperto. Un gran numero di persone, provenienti da tutta la Rdt, attraversavano la frontiera per essere accolti con grandissimo entusiasmo dall’altra parte. Una grandissima festa di fratellanza.

Ma l’entusiasmo non durò a lungo. Solo poche settimane dopo, nella città in cui abbiamo vissuto all’epoca, ai commenti entusiastici dei primi giorni subentrarono i lamenti. Non c’erano più parcheggi al supermercato, perché “quelli di là” continuavano arrivare con le loro Trabi [così veniva chiamata, familiarmente, l’utilitaria Trabant, ndr]. Non potevo crederci. La Guerra Fredda invece di avvitarsi in un’escalation dal tragico finale, aveva preso una direzione pacifica, mai sperata prima. Le grandi potenze dell’Est e dell’Ovest invece che farsi la guerra sembravano aprirsi a infinite occasioni di sviluppo, e che cosa faceva la gente? Si lamentava che non trovava più parcheggio! 

Per mia moglie e per me un tale comportamento era inconcepibile e così abbiamo pensato che cosa avremmo potuto fare noi per contribuire al sostegno di queste nuove opportunità. Ero nell’ultimo anno del vicariato. Andare come pastore nella ex-Rdt all’inizio non mi sembrava utile, temevo che le differenti esperienze di vita potessero rendere troppo difficile la cura pastorale. Una nostra amica della Sassonia ci ha invece incoraggiati e così un anno dopo sono passato insieme con la mia famiglia dalla Chiesa della Baviera a quella della Sassonia. 

Aveva ragione la nostra amica. Le diverse esperienze di vita non sono mai state un ostacolo. Al contrario – a volte sembrava quasi più facile confidarsi con uno “straniero”. Il compito più importante per noi è stato contribuire a superare la diffidenza reciproca, le critiche e le riserve tra Est e Ovest. In entrambe le parti della Germania, la gente aveva iniziato a lamentarsi del comportamento insopportabile “degli altri”. Noi, al contrario, tentavamo sempre di creare ponti tra le persone dell’una e dell’altra parte. Naturalmente ciò è stato possibile solo su scala molto ridotta, ma nel nostro piccolo riuscivamo a mettere insieme le persone e a organizzare o partecipare a degli incontri per parlare delle diverse esperienze, delle cose che univano e che separavano l’oriente e l’occidente. 

Siamo rimasti per vent’anni in Sassonia prima di trasferirci in Italia. Anche se la politica ha avuto uno sviluppo diverso da quello che speravo nel 1989, sono ancora oggi infinitamente felice della caduta del muro e della fine di quella follia schizofrenica che divideva il mondo in due. E sono felice e grato per le molte amicizie nate durante il nostro soggiorno in Sassonia.