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Pasolini, la musica e il sacro

Chiunque ammiri la cinematografia e l’opera letteraria di Pasolini non potrà non apprezzare il bel saggio di Claudia Calabrese Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances*, che unisce caratteristiche che raramente si trovano congiunte: rigore documentario, sul versante della filologia cinematografica, letteraria e musicale, acume critico, passione intellettuale e – qualità da non sottovalutare – uno stile espositivo piano, animato da una chiara volontà di comunicazione con il lettore colto ma non specialista.

Se dovessi individuare un primo risultato generale della ricerca della Calabrese direi così: la musica nell’arte di Pasolini non è un elemento esornativo esteriore, ma un pilastro portante. Dopo un’introduzione generale il saggio di Claudia Calabrese si articola in cinque capitoli. I primi due («Il Friuli» e «Roma») sono incentrati sui primi decenni creativi del poeta; il terzo e il quarto, interessanti soprattutto sul piano della sociologia della musica moderna, sono relativi alle influenze esercitate da Pasolini su musicisti “colti” (Bussotti) o “popolari” (De Carolis) negli anni Sessanta; il quinto e ultimo, per me il più affascinante, consiste in un’analisi accurata del breve film di Pasolini, tanto geniale quanto sottovalutato, Che cosa sono le nuvole? Un’appendice documentaria, con una serie di intervista ad amici e conoscenti del poeta («Pasolini dopo Pasolini») conclude il libro.

Molti sono i risultati notevoli di questa ricerca. Accenno solo ad alcuni. Anzitutto, nel primo capitolo, una magnifica analisi del Saggio sullo stile di Bach, scritto da Pasolini nel 1944-1945, in cui il poeta si soffermava in particolare sui movimenti della Siciliana (che il giovane Pasolini chiamava “Siciliano”) e dell’Adagio dalla sonata per violino solo Bwv 1001 di Bach (il lettore interessato potrà trovare su youtube una splendida esecuzione di Arthur Grumiaux, accompagnata dallo scorrere della partitura). Il testo di Pasolini – che contiene una serie di precise citazioni dallo spartito di Bach, commentate dal poeta – viene a sua volta commentato con rigore e puntualità da Calabrese, che ne mostra la profondità concettuale, basata su una formidabile capacità di intuizione simpatetica che a volte, nonostante qualche imprecisione di dettaglio, permette a Pasolini di anticipare risultati raggiunti dalla ricerca musicologica successiva. Compare qui la dialettica tra “Carne” e “Cielo” che, come dice il prefatore del libro Stefano La Via, è «destinata a riemergere continuamente (…) un po’ in tutta la grande opera letteraria e cinematografica di Pasolini» (p. 16).

Un’altra perla del libro è l’ultimo capitolo, che analizza in modo mirabile Che cosa sono le nuvole?, il breve e geniale film di Pasolini generalmente trascurato (dura una ventina di minuti, è possibile vederlo su youtube). Ne vengono analizzate le complesse radici letterarie (la libera rivisitazione di alcuni momenti centrali dell’Otello di Shakespeare), pittoriche (la citazione iniziale da Las Meniñas di Velazquez), musicali (varie musiche popolari – il Can Can di Offenbach, una canzone di Morricone, musiche popolari anonime – fino alla bella canzone di Domenico Modugno, su parole splendide di Pasolini, che funge da piattaforma, per così dire, al sublime adagio finale del Quintetto K516 di Mozart) e infine, in senso lato, antropologiche (la quotidianità popolare, per Pasolini portatrice di una apertura al sacro precedente la grande omologazione, rappresentata ricorrendo ad attori “popolari” come Franco e Ciccio, Ninetto Davoli, Totò, insieme ad attori “colti” come Laura Betti e Adriana Asti).

Si può dire, seguendo l’analisi di Calabrese, che quella che potremmo definire come la funzione iniziatica della musica alta è strettamente, indissolubilmente legata al sentimento del sacro, che dei film di Pasolini, almeno fino a una certa data, è il presupposto e il fondamento.

Pasolini parla della duplice “applicazione” della musica, “orizzontale” («si ha in superficie, lungo le immagini che scorrono: è dunque una linearità e una successività che si applica a un’altra linearità e successività»…) e “verticale” («ha la sua fonte nella profondità. Quindi più che sul ritmo viene ad agire sul senso stesso»…) (p. 144). Che cosa sono le nuvole? esemplifica questa duplicità. Nella perfetta scena finale del film l’ex burattino Totò, gettato nella discarica, mentre sta morendo pronuncia quelle parole che indicano la sua umanizzazione («ah, straziante, meravigliosa bellezza del creato…»), mentre un’inquadratura riprende le nuvole alte nel cielo e il meraviglioso attacco dell’adagio dal Quintetto K516 di Mozart accompagna la scena, costituendo il commento più emotivamente potente di ciò che a parole non si può, in realtà, dire (Wittgenstein). Ma nel film questo tema mozartiano, di un sublime evidente e arcano, era stato presentato altre tre volte da una compagine esecutiva “popolare” (due mandolini): per questo l’autrice parla di un’«ambiguità della musica di Mozart che si presta bene ad essere usata dal “regista di poesia” come strumento atto a rappresentare contemporaneamente il Sublime e il mondano, la Carne e il Cielo» (p.307).

* C. Calabrese, Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances. Treviso, Diastema ed., 2019, pp. 368, euro 23,00.

Nella foto: un fotogramma da «La ricotta» (wikipedia)