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Sinodo amazzonico. Preti sposati? L’analisi del professor Fulvio Ferrario

Il pastore e teologo valdese Fulvio Ferrario, Decano della Facoltà valdese di teologia di Roma, sollecita un vivace dibattito su Facebook a partire da un suo post intitolato “domandina” in cui scrive: «Hanno un bel dire gli esponenti ufficiali della Chiesa cattolica che la questione dell’ordinazione di uomini sposati non esaurisce il documento del Sinodo amazzonico: le ragioni per le quali l’attenzione si accentra su tale aspetto non richiedono nemmeno di essere menzionate».

Il documento finale del Sinodo consta di 120 paragrafi votati singolarmente dai padri sinodali e i cui risultati delle votazioni sono stati resi noti. Esso si articola in quattro capitoli: nuovi percorsi di conversione pastorale, nuovi percorsi di conversione culturale, nuovi percorsi di conversione ecologica, nuovi percorsi di conversione sinodale. Fra i suoi temi, il rapporto con le culture locali, il dialogo ecumenico, interreligioso e culturale, la crisi socio ambientale e l’ecologia integrale, il ruolo della donna e nuovi ministeri. Ferrario propone la sua “domandina” a partire dal paragrafo 111, approvato con 128 voti favorevoli e 41 contrari (è il paragrafo con maggiore divergenza di tutto il documento).

«La questione dell’ordinazione di uomini sposati già inseriti nel diaconato permanente era già stata accennata da Francesco, e associata a paesi remoti e situazioni estreme – scrive ancora Ferrario –. Ora è esplicitamente motivata con il ridotto numero di sacerdoti in un territorio immenso. Il primo punto, però, non è un problema solo amazzonico, anzi».

Il teologo valdese, che si definisce un osservatore interessato, avanza quindi «una domanda critica» che alcuni potrebbero bollare come «inutile», «superata» e in definitiva «antiecumenica, specie se da parte protestante». «Ma veniamo alla domanda, che non è teologica, ma semplicemente logica. Rispetto alla proclamazione dell’evangelo nella sua autenticità, che è il compito di tutte le chiese, l’ordinazione di uomini (per quel che mi riguarda anche donne, naturalmente, ma restiamo sul punto) sposati può essere: a) negativa, cioè contraria all’autenticità del messaggio; b) positiva, cioè conforme a tale messaggio, così come oggi lo comprendiamo. In teoria, potrebbe anche essere “indifferente”, in quanto legata a semplici considerazioni di opportunità, ma in tal caso non si capirebbe l’accanimento nella discussione. Nell’ipotesi a), la scelta andrebbe ovviamente rifiutata; se invece vale b), evidentemente accettata. Senza restrizioni, in Amazzonia come in Norvegia, come un’occasione e non come una specie di terapia d’urto per malattie gravi. Così aveva fatto la Riforma protestante, offrendo motivazioni chiare: non tutte precisamente teologiche (ad esempio: il celibato ecclesiastico, comunque, è largamente disatteso), ma precise. La domanda è: aveva ragione o torto?».

Il post di Fulvio Ferrario si conclude con un Post Scriptum: «Ovviamente, tutto ciò non ha nulla a che vedere con il significato carismatico del celibato “per il regno di Dio”, come si esprime Gesù. La questione riguarda soltanto il carattere obbligatorio del celibato in relazione al ministero della parola e dei sacramenti».

La pubblicazione di questa domanda ha suscitato molte reazioni e condivisioni sul social network, e una “rispostina” del teologo cattolico Andrea Grillo, che in parte conferma l’approccio di Ferrario e in parte lo pone in discussione, concludendo però che «Un confronto tra gli universi cristiani di relazione tra celibato, matrimonio e ministero farà bene al cammino della chiesa, di ogni chiesa». A Grillo giunge il ringraziamento, sempre via social di Ferrario: «Grazie al prof. Andrea Grillo che risponde per esteso alla mia “domandina” di ieri. La persona che da qualche mese guida la Chiesa della quale faccio parte mi diceva una volta: “Evviva il dissenso, purché circoli il pensiero”. È quanto succede, sempre, con Andrea Grillo. La controreplica sarà per la prossima volta!».